Oltre il pregiudizio

 

Se non avessi conosciuto Luciana e Sonia non sarei mai arrivato in Italia. Vi avevo lasciato a Portbou, in Spagna. E’ lì che ho incontrato queste due giovani piemontesi. Abbiamo passato tre bellissimi giorni insieme: dormivamo in spiaggia, condividevamo tutto e parlavamo di ogni cosa, soprattutto dell’Italia. Chiacchieravamo guardando il tramonto e poi ci ritrovavamo ancora a parlare davanti ad una tazza di caffè, all’alba. “In Italia abbiamo l’espresso. E’ molto più buono di questo” mi diceva Luciana con un sorriso.

Facevamo quello che fanno i viaggiatori con lo zaino in spalla, di fronte al mondo ancora da scoprire e curiosare senza fretta. Ci siamo salutati in quella piccola stazione, come se fossimo stati amici da una vita. Dopo quell’incontro, l’Italia, pur non conoscendola ancora, ha trovato un posto importante nel mio cuore e nei miei progetti futuri. All’improvviso, quel pregiudizio negativo che avevo su questa terra a poche ore dalla mia Tunisia – formato e consolidato per sentito dire – cominciò a sgretolarsi, lasciando spazio alla voglia improvvisa di scoprire e conoscere un Paese che ignoravo.

Credo che le difficoltà tra persone di diversa appartenenza culturale siano la conseguenza di pregiudizi precostituiti. Ognuno di noi si costruisce – consciamente o inconsciamente – il suo stereotipo sul diverso, soprattutto quando si tratta di persone. Di fatto non si comunica e non ci si confronta con chi è davanti a noi, ma piuttosto con la sua immagine, costruita attraverso il linguaggio e la comunicazione comuni.

“Ma come parli bene italiano Mohamed”, mi dicevano spesso e mi dicono ancora oggi. Con questa banale osservazione il mio interlocutore autoctono non parla con me come persona – che tra le altre cose legge almeno due quotidiani al giorno, una ventina di libri all’anno, ama il cinema e conosce quasi tutti i musei di Milano – ma con lo stereotipo dell’immigrato presente nell’immaginario comune: lavoro, casa, televisione con canali satellitari del proprio Paese, amici connazionali e così via. Pochi italiani si spingono oltre il pregiudizio sommario medio verso l’immigrato.

La mia amicizia con Luciana e Sonia continuò a distanza. Ci scrivevamo lettere, visto che all’epoca non c’erano né email, né sms. Loro scrivevano in italiano e io in francese. Fu allora che mi comprai il mio primo dizionario italiano-francese.

Nel 1988, dopo aver frequentato un corso di italiano a Rabat, andai per la prima volta in Italia. Prima di partire, mi accordai con Luciana per vederci a Milano. Non ci siamo più rivisti dopo quell’appuntamento. In quella visita lampo di tre giorni decisi di trasferirmi nel capoluogo lombardo. Milano era grande, vivace e caotica, ma la sua confusione invece di intimorirmi mi attraeva.

Un anno dopo, una volta finita l’università, partii per l’Italia. Arrivato alla Stazione Centrale di Milano, iniziai a scambiare due parole con un marocchino: “Qui non c’è lavoro. Non ho trovato niente. O rubi o spacci!” mi aveva detto l’uomo. Una settimana dopo mi ritrovai a distribuire volantini per la città. Giravo con tre chili di carta nello zainetto e ogni giorno scoprivo un nuovo angolo. Si guadagnava poco, ma in quel momento la cosa più importante era essere autonomo e iniziare a fare qualcosa. Volevo salire la scala iniziando dal gradino più basso. Niente compromessi, nè sciocchezze. L’impatto iniziale fu molto positivo, anche se intorno a me c’erano molti ragazzi in difficoltà, tra questi anche molti connazionali.

Mentre facevo volantinaggio mi capitava spesso di fermarmi alla Stazione Centrale di Milano. Osservavo la gente che si dirigeva di corsa verso i binari indicati nel tabellone delle partenze e chi, più lentamente, si incamminava verso i “binari invisibili”, quelli che portano i viaggiatori verso una scelta di vita e non verso una meta geografica. I rischi di sbagliare binario o di scegliere il treno guasto sono altissimi e le conseguenze molto gravi. Non è solo il singolo viaggiatore ad essere coinvolto, ma tutta la collettività. La mia fortuna è stata l’istruzione, che mi ha permesso di scegliere il binario giusto e di salire sul treno più veloce. Ma i rischi di fare la scelta sbagliata si possono comunque prevenire con un ufficio informazioni che risponda a tutte le domande di ogni tipoligia umana in arrivo.

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