LIBRI/ Turchia. Storie ordinarie di resistenza #2

Turchia. Proteste per proteggere Gezi Park.FocusMéditerranée vi ha proposto settimana scorsa il primo estratto di Testimone a Gezi Park, il libro (pubblicato in Italia solo in autoproduzione) del  giornalista e scrittore italiano Luca Tincalla: una raccolta di storie di resistenza durante la rivolta esplosa in Turchia tra maggio e settembre del 2013.  Oggi pubblichiamo la seconda puntata …

Il giorno 12 settembre 2010 si è svolto in Turchia un referendum sulle riforme costituzionali. Il popolo è stato chiamato alle urne per votare sì o per votare no a dei cambiamenti nella Costituzione relativi ai poteri dell’esercito, ai criteri d’impunità dei membri delle forze armate, al ruolo della Magistratura e ai dirıtti dei lavoratori …

Ventisei erano i quesiti; due le caselle sulle schede elettorali. SI. NO. La consultazione, dunque, è stata generale e non particolare. La mancanza di un voto singolo, inequivocabile e unico, ha fatto perdere forza al referendum nel suo insieme e ha avvalorato la tesi di uno scontro politico [da “Referendum”].

Del resto, solo nelle ultime settimane prima del voto è stata avvertita l’esigenza di recarsi alle urne. La data del referendum ha coinciso, non a caso, con l’anniversario del coup d’état dei militari negli anni Ottanta e con la fine della festa del Ramadan; quasi un invito al non voto. Come un invito ad andare a Ostia ai cancelli, se ce li avessimo avuti. 

Il fronte del NO, con il suo brontolare sommesso, ha costretto tuttavia l’intellighenzia del Governo a una strategia diversa dalla nonchalance espressa in un primo momento. La consultazione è passata così da operazione nostalgia a elemento cruciale – anche se parziale – per una riforma della Costituzione destinata a cambiare in futuro, prossimo?, il volto della Turchia. Per questo, nei giorni precedenti al voto, gli strilli dei vari cartelloni pubblicitari sono stati oscurati da vari slogan dei pochi partiti e nelle televisioni hanno taciuto finalmente le soap. Solo la squadra di pallacanestro turca in finale con quella americana ha resistito più che dignitosamente… ma solo in televisione. 

Sebbene sembri strano che in un referendum abbia potuto vincere un partito, questa è stata la realtà dei fatti. Il primo ministro turco ha guidato il suo partito a una vittoria netta e brutale con molto di più del 50%. Con un’affluenza record, la Turchia non solo ha voluto dare un segnale chiaro e netto al suo leader, nientemeno gli ha dimostrato lealtà e fiducia, e certamente gli ha spianato la strada per vincere un terzo mandato alle seguenti elezioni politiche; detto-fatto. Un risultato bestiale, se si pensa che il partito del premier ha avuto contro tutti i maggiori partiti dell’opposizione come il CHP (il partito repubblicano del popolo), il MHP (gli eredi dei lupi grigi) e il BDP (il partito a maggioranza curda) che ha invitato al boicottaggio del referendum. 

E mentre alcuni analisti stranieri stanno ancora cercando di spiegarsi, e di spiegare, il perché di questa vittoria a valanga, qui si è respirata aria di pace. Il come sia possibile dev’essere ricercato nel DNA di questa nazione che dimentica troppo velocemente da dove viene e ricorda poco assennatamente dove voleva andare, almeno fıno all’altro ieri. 

Se la vittoria del SI nel referendum per l’emendamento della Costituzione di Ankara ha consegnato definitivamente alla storia la strada per una Turchia secolarista fondata da Mustafa Kemal Atatürk, non è ancora detto. Certo che l’autostrada per una Turchia neo ottomana sognata dal primo ministro, da quel giorno, è ufficialmente aperta. D’altronde, la vera vittoria del premier è stata non tanto l’archiviazione di un modello di Stato ormai obsoleto tramite un referendum, quanto la sofisticata – nonché ambigua – manovra politica messa in campo per legittimarne la liquidazione con il beneplacito della popolazione. 

Tra gli effetti di questo referendum, la Corte Costituzionale potrà giudicare solo i massimi gradi militari, mentre d’ora in poi saranno i tribunali civili, e non più quelli militari, a processare gli altri membri delle forze armate accusati di reati contro la sicurezza dello Stato o della Costituzione; e i civili non potranno più essere processati da tribunali militari.

Ma sarà vera gloria? Pur non avendo simpatia per i militari, mi chiedo come un tribunale civile possa giudicarli. Mi sembra che in Italia, per esempio, è il Tribunale Militare che, sia in tempo di pace che di guerra, giudica gli appartenenti alle forze armate. Così in Francia, in Inghilterra e in America. Se è vero che la Turchia è stata per troppo tempo un Polizeistaat, dov’era l’esercito il garante dei diritti al posto del Parlamento, questa nuova “Corte Marziale Civile” ha la mente fina, ma le gambe corte. 

Si è vociferato, inoltre, che la maggioranza al Governo volesse cambiare l’articolo della Costituzione dove c’è scritto che l’uomo e la donna sono uguali. Da uguale la donna sarebbe potuta passare a complementare, è la stessa cosa?

Se oggi a Gezi Park e altrove ci sono tutte queste donne, con il velo o senza, che protestano, lo dobbiamo pure a questa sharia che il primo ministro turco vorrebbe instaurare della cara e vecchia Costituzione. Una sharia economica, soprattutto, per conquistare la fetta del Medio Oriente; ma che ha riflessi anche nella vita asociale di tutti i giorni. Storie di uomini e donne. Di donne che sono stanche delle troppe “attenzioni” degli uomini e che, pian piano, perdono fiducia nella figura sussiegosa e macha del primo ministro turco. Chissà. Magari è stato il fracasso delle morti di Pippa Bacca e di Sarai Sierra a fare da trampolino di lancio a quelle silenziose di molte donne turche che, dentro e fuori le mura domestiche, erano – e sono ancora – vittime di una società maschio-centrica. Ve le ricordate quelle due ragazze adolescenti, una di Mardin e l’altra di Gölcük, che non più lontano di tre mesi fa sono state stuprate da un gruppo di venti persone?

Nel prossimo capitolo leggerete il mio ricordo, che sia anche il vostro, per non dimenticare. E poi, come promesso, torneremo a Gezi Park. 

Ma ri-torniamo all’esercito. Se l’esercito è un vecchio malfermo, allora è il Parlamento che partecipa al banchetto offerto dal popolo. L’antipasto del giorno dopo sono state dodici vittime a Hakkari, Est della Turchia, attentato rivendicato dal PKK – a volte ritornano. Ma più che del PKK si parlò male di Hakkari; spregevole tentativo dei media di usare il nome di una città per confinare il dolore di una notizia.

Ho pensato che Ferit Edgü, uno scrittore turco che non conosco di persona, non sarebbe stato d’accordo con quest’idea. Lui che a Hakkari ha vissuto per un po’ della sua vita, magari poteva parlarne; ma non questi giornalisti imbolsiti in doppiopetto blu che su quella terra non avevano mai messo piede.

Mi ricordo che Edgü della città scriveva: “Allora ricordandomi del mio passato e dei giorni trascorsi da te, mi siedo alla scrivania per raccontare quello che ha vissuto un uomo, ad altri uomini”. 

Lo prendo in parola e faccio lo stesso con voi.

 

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