CRISI ECONOMICA/ La grande occasione

Sarà lacrime e sangue, non c’è dubbio. L’Italia sotto attacco degli speculatori internazionali perde in borsa e paga sempre più interessi per collocare i suoi Titoli di Stato. I fondamentali sono buoni, ma la crescita è scarsa. Le esportazioni segnano numeri a due cifre, e tuttavia la produttività non fa passi da gigante. Gli occhi del mondo sono puntati su di noi perchè questa volta rischiamo di trascinare nel baratro l’economia europea, la sua moneta unica e i mercati mondiali.

LA MIA VERITA’ – I risparmiatori si lamentano, i lavoratori hanno paura. La crisi incombe. Ma lamentarsi non basta e non paga. Questa potrebbe essere la riscossa d’Italia.

Soprattutto da un osservatorio esterno è facile registrare la litania di proteste, giustificazioni, accuse, analisi basate sul “io l’avevo detto”. Serpeggia senz’altro la paura. Terrorizzati i dipendenti pubblici e i pensionati che vedono pendere su di loro la scure del Ministro delle Finanze. Spaventati i risparmiatori dai crolli delle borse nostrane, d’oltralpe e d’oltreoceano. Sembra che ci sia solo da lamentarsi e, per i più autocritici (sempre che ne esistano), flagellarsi con una serie di mea culpa per quanto non si è fatto in questi anni.

Eppure, sia pure guardandola dalla parte sbagliata e cioè di quelli che soffrono il cambiamento, stiamo probabilmente assistendo alla preparazione della riscossa dell’Italia.

Il nostro Paese, lo sappiamo, non è virtuoso, come non sono virtuosi i suoi abitanti: furbetti del quartierino, venditori di fumo e di videoregistratori col mattone, evasori cronici, individualisti e familisti, non brilliamo per senso dello Stato, inteso per quello che dovrebbe essere, l’amministrazione della Cosa Pubblica, e cioè, per l’appunto, di tutti noi. In tutte le epoche di bonanza la Repubblica ha navigato nell’oro e sperperato, senza mettere da parte una lira (non contando gli ingenti patrimoni personali e familiari dei suoi abitanti, più o meno onesti…). Non solo non abbiamo pensato di mantenere in pareggio il bilancio, ma i nostri generosi politici, di ogni fede e colore, hanno aperto i cordoni della borsa, accumulando debito pubblico a go go.

Servivano infrastrutture, la cui costruzione si prolunga normalmente per decenni in modo da sostenere intere generazioni; servivano migliaia di posti di lavoro, magari non strapagati, ma ottenuti “aggratis”, grazie ad amicizie e favori, e quindi non certo coperti da lavoratori motivati e pronti al sacrificio; lo Stato è poi apparso sempre concedere dall’alto i suoi servizi, come se fossero, di nuovo, favori e non diritti belli e buoni.

L’analisi sarebbe lunga e la lista rimane senz’altro incompleta. Quello però che conta è che tutti i momenti chiave della nostra Storia, quelli, per dire, che ci hanno portato nel G7 delle super economie mondiali o che ci hanno fatto entrare in Europa e nell’Euro, sono stati caratterizzati da grandi crisi. Mai i nostri Statisti hanno condotto di loro spontanea volontà l’Italia verso il buono e il giusto, verso un futuro per le nuove generazioni, verso la costruzione di un Paese migliore.

C’è sempre voluto uno shock e anche pesante: la dittatura fascista con i suoi limiti alle libertà individuali, la ricostruzione del dopoguerra (guerra!), la crisi petrolifera con l’austerity che ha posto le basi della “Milano da bere”, la strigliata del 1992, per non andare più indietro nei secoli, quando si chiamava in aiuto lo straniero. Solo lo shock, i vincoli e le pressioni esterne con il loro carico di condizionamenti e strettoie, ci hanno costretto, e lo sottolineo costretto, a imboccare la via della virtù.

Ce l’abbiamo sempre fatta: sarà lo Stellone che ci protegge o la proverbiale capacità di sopravvivenza di un Popolo che ne ha viste e subite tante. E anche questa volta ce la faremo. Lo shock ce l’abbiamo, e bello grosso. Il malessere è diffuso. I vincoli esterni parecchi, e chiarissimi. C’è solo da sperare che il nostro Governo e l’Opposizione facciano le scelte dolorose ma necessarie, pensando al futuro del Paese e non a minimizzare i danni, inevitabili, alla loro popolarità.

Un ragionamento in chiave elettorale, con il classico degli sguardi a breve termine, sarebbe disastroso. Una seria riforma del sistema e del funzionamento del Paese, per quanto iniziale fonte di critica e proteste anche accese (e, temo, violente), sarà invece giudicato dalla Storia come una decisione saggia e positiva.

E’ il momento di cogliere l’occasione per fare pulizia: ridurre sì, ma soprattutto rendere più efficiente e motivata la Pubblica Amministrazione, di cui abbiamo assoluto bisogno, ma con una mentalità nuova, davvero “al servizio” del Paese e dei suoi cittadini; portare la contrattazione sindacale nelle imprese, lasciando che gli obiettivi vengano condivisi tra management e lavoratori, facendola finita con la tutela sindacale a priori dei fannulloni; decentralizzare i servizi pubblici periferici, ma solo quelli e senza perdere il controllo e la primazia del centro decisionale, che deve restare nella Capitale, dove è il suo posto: politica estera, difesa, lotta al crimine, accesso alle professioni regolamentate, per fare solo alcuni esempi, devono essere materie lasciate allo Stato e non a Regioni, Province, Comuni, Comunità Montane, Ordini professionali; ridurre e semplificare davvero l’ordinamento giuridico e quello amministrativo-burocratico: un Paese che è schiavo di avvocati e commercialisti, senza i quali non si può compiere un passo sicuro, vive senza certezze e in balia di chiunque gli voglia male; placare, con un corale sforzo di educazione civica ed etica, il gossip dilagante in tutti gli ambienti e a tutti i livelli: occorre tornare a valori seri, al rispetto del limite, delle forme anche esteriori, dei diritti altrui; smetterla con questa fissazione, tutta nazionale, per la privacy: in una democrazia, chi è onesto e non ha nulla da nascondere non cerca il segreto, ma la trasparenza, soprattutto se vi sono dei limiti al gossip di cui sopra; far rientrare la magistratura nel suo ruolo di terzietà e apolitico, facendola finita con questo stillicidio di intercettazioni pubblicate a spezzoni, accuse infamanti che cadono nel nulla, fango e polemiche politiche: vietiamo la pubblicazione delle intercettazioni e che continuino pure a farle per beccare i delinquenti!

Anche qui l’elenco sarebbe lungo e incompleto. Ma la conclusione è una sola: la crisi che viviamo deve essere l’occasione unica per rifondare il pactum civitatis che ci lega, per rimettere a posto le cose, eliminando i privilegi, ma allo stesso tempo riconoscendo le funzioni e l’utilità dello Stato di cui festeggiamo ora i 150 anni di vita. Prendiamo coraggio, chiudiamo gli occhi al nostro egoismo, facciamo pulizia e buttiamo tutto il ciarpame accumulato in questi decenni, stando attenti a non gettare il servizio buono o, come si diceva un tempo, il bambino con l’acqua calda.

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