Cibo e disordini civili in Medio Oriente

A gennaio, l’Indice dei prezzi alimentari della FAO (Food and Agricultural Organization, l’Organizzazione delle Nazioni Unite per l’alimentazione e l’agricoltura) ha registrato un nuovo picco storico (231 punti, il 3,4% in più rispetto a dicembre 2010), dopo quello della crisi dei prezzi alimentari del 2007-2008. Stando alle dichiarazioni di Josette Sheeran, direttore esecutivo del WFP, l’onda delle rivolte in Medio Oriente ha coinciso con una nuova fase di aumento generalizzato dei prezzi alimentari.

LA MIA VERITÀ – Per fortuna il tema ‘alimentazione’ è al centro dell’agenda del G20 di quest’anno!

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Nelle aree colpite dai disordini, i dimostranti innalzavano fette di pane e cartelli di protesta non solo contro il regime, ma anche contro l’aumento del prezzo delle lenticchie. La pressione al rialzo si è scontrata con il sistema di sovvenzioni che assicurava, anche ai più poveri, l’approvvigionamento alimentare ad un prezzo equo. Cresce dunque la preoccupazione per l’accesso al cibo. Insieme alla democrazia – ad esso strettamente legata – e alla libertà, il cibo, specchio del benessere, ha un ruolo decisivo nel placare la rabbia popolare e rafforzare la stabilità di un Paese.

Nonostante non si possa ancora dire quanto il rincaro dei generi alimentari, in particolar modo cereali e carne (la base della dieta alimentare in Medio Oriente), abbia influito nell’attuale ondata di malcontento, l’ansia di una società disperata e affamata, come quella tunisina ed egiziana, era già evidente durante la crisi dei prezzi alimentari del 2008. Fu infatti il rincaro del pane e dei generi di prima necessità a scatenare in molti Paesi del Medio Oriente proteste antigovernative.

In quest’area del mondo, il potere d’acquisto è spesso molto basso per la stretta dipendenza dalle importazioni (con prezzi in crescita a livello internazionale) e per il livello modesto dei salari percepiti. L’elevata crescita demografica, le speculazioni e le scelte delle élite al potere, che controllano la distribuzione del cibo, hanno inoltre avuto un ruolo decisivo nei disordini di questo ultimo periodo.

In Egitto, nella Primavera del 2008, la gente era costretta a trascorrere lunghe ore in coda per avere un pezzo di pane e numerose sono state le proteste all’interno del Paese. In Siria agricoltori e allevatori sono stati duramente colpiti dalla siccità di questi ultimi anni. Dopo le rivolte in Tunisia ed Egitto, il Governo siriano ha deciso di intervenire riducendo le tasse e i dazi su alcuni alimenti (riso, tè, banane, latte in polvere,..) e attingendo ad un fondo sociale. Il 13 febbraio scorso ha distribuito liquidità a 420.000 famiglie disagiate, ma, nonostante ciò, in Siria sono ancora in molti a non avere un pasto al giorno. In Algeria, già vent’anni fa, l’aumento del prezzo del cibo aveva provocato rivolte molto simili a quelle di oggi, tanto da arrivare alla destituzione del Presidente. Memore del passato, il governo algerino adesso è cauto: ha scelto di ridurre i prezzi e garantire sovvenzioni. Diversa invece la situazione in Libia, dove la ricchezza veniva distribuita in maniera più equa e dove, più che per la fame, oggi si lotta per la libertà e la giustizia.

Quando si tratta di cibo, il confine tra stabilità e caos si riduce pericolosamente. Dovevamo forse essere meno ciechi allora e capire in quale drammatica direzione si stava andando?


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