DoveStiamoAndando? A non avere più paura dei Social

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ROMA. La Storia dell’essere umano racconta il progressivo riappropriarsi della vita umana, ininterrotto superamento di limiti e spalancarsi di mondi. Ultimo in ordine di tempi, la Rete. Delle sue potenzialità oggi conosciamo e utilizziamo una parte davvero minima, eppure la nostra vita ne è già rivoltata. Che meraviglia sarà il 3016; quasi varrebbe la pena di credere nel ciclo di reincarnazioni per non precludersi del tutto una – una sola, folle  – speranza di rivivere.

Alla nostra quotidianità, la Rete ha regalato i social, testimoni inediti e imperiosi. Raccontano noi a noi stessi, garantiscono crescita esponenziale alle nostre possibilità e ai nostri progetti, sogni, deliri, incontri, contatti, amarezze, ambizioni, riscatti,miserie. In alcuni, suscitano slanci non di rado acritici, entusiasmo a priori verso il nuovo, gioia di scoprire, eccitazione di poter presentare al mondo immenso certe idee e iniziative magari respinte a livello locale, opportunità di comunicare dati in tempo reale. In altri, specularmente alimentano diffidenza e ostilità non di rado acritiche per il rifiuto a priori verso tutto quanto sia nuovo (atteggiamento che sovente coincide con le velleità di distinguersi), per la riaccensione della tradizionale fasulla contrapposizione fra tecnologia e umanesimo (come se i progressi tecnologici non rientrassero nei trionfi umani), per insicurezza sul proprio esistere e timidezza sulle proprie opinioni.

Di qui una serie di paure contorte, vaghe, subdole, come tali in grado di condizionarci più di altre relative a pericoli definiti.

Intanto, la riservatezza minacciata-oltraggiata-umiliata. Ma quando mai: se non pubblichi nulla che direttamente o indirettamente riguardi i fatti tuoi, nessuno ne sospetterà nemmeno l’esistenza. Bisognerebbe accettare l’idea che dei fatti tuoi, all’universo mondo non importa proprio. (Certamente è più gratificante invece ipotizzare tanti che stanno lì appostati per carpire, l’ansia di essere spiato assomiglia tanto al desiderio di esserlo).

Slider_Social network_440x240Poi, la superficialità di rapporti umani che nel virtuale sarebbe insita. Premesso che la superficialità dipende da noi più che dal mezzo con cui la si esprime, il meccanismo (ovviamente dilatato dalla Rete) può ricordare quanto succede di norma nelle megalopoli, dove le relazioni umane sono mediamente vissute in modo meno stretto che nei piccoli centri. C’è tuttavia da aggiungere che, ad esempio, il senso del social più amato dagli italiani, Facebook, non sta tanto nel ritrovare persone care perdute attraverso gli anni – se così fosse saremmo di fronte a un banalotto Amarcord 2.0 – quanto nella possibilità di conoscerne di nuove. Con relativa eventuale verifica, di persona, delle nuove “amicizie”.

Quindi, una non meglio specificata dipendenza che sarebbe, non si capisce perché, più temibile di tante altre, tipo stare giorno e notte davanti alla tv, chiudersi in casa o in una biblioteca a leggere tutto il tempo, isolarsi in una multisala a guardare un film dopo l’altro, drogarsi di musica in uno dei tanti posti dove questo è possibile sempre. La dipendenza è una patologia che può manifestarsi in un numero indefinito di modalità, tutte molto diverse e tutte molto tristi; una di esse, contrabbandata per amore, arpiona vite.

Infine, la paura di colloquiare non tanto con estranei in quanto tali – succede già a ogni età e ovunque, vacanza o lavoro o manifestazioni o studio o altro – quanto con persone conosciute in modo nuovo, a volte percepito tuttora insolito, bizzarro. Soprattutto in Italia, nei Paesi mediterranei in genere, la dimensione famiglia, gruppo, clan, il tormentone del “cosa dirà la gente” rischiano di asfissiarci e non di rado riescono (a dire il vero, la preoccupazione coinvolge per lo più  le fasce meno abbienti dal punto di vista non soltanto economico). Da noi, comunque, “Attenzione a chi incontri sui social” rimane raccomandazione frequente.

Oh sì, ci sono anche mascalzoni, mitomani, soprattutto tanti imbecilli: proprio come nella vita reale.

 

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