“Le donne sono le uniche che potranno lavorare alla conservazione del pianeta”, lo dice con convinzione l’artista Cinzia Fantozzi, che abbiamo incontrato di recente a Milano nel cuore pulsante dei Giovedì d’Arte, incontri tra artisti e appassionati organizzati dalla galleria Art Marginem. È qui che ci siamo immersi nelle affascinanti opere di questa artista.
I Giovedì d’Arte nascono da un progetto voluto da Adriano Pompa, artista e presidente dell’associazione Art Marginem, con l’obiettivo di creare uno spazio in cui i creativi possano dialogare con un pubblico curioso, avido di scoprire le nuove tendenze dell’arte contemporanea. Per l’occasione Cinzia Fantozzi aveva allestito l’esposizione dal titolo “Madre Terra, Sorella Acqua”.
“Cinzia si nutre di curiosità – scrive di lei Luciano Bolzoni, curatore dei Giovedì d’Arte – ma anche di meditazione e di prolifica elaborazione dei temi della vita, della femminilità, del sociale che poi, a ben vedere, riguarda anche la sfera del nostro privato. Con questi lavori, l’artista ci racconta cosa voglia dire crescere e lottare come donna evitando però di trovarsi isolata in un “genere”: non esiste una condizione di donna che non sia quella in cui la società la costringe a convivere. Cinzia cerca, e spesso scopre e trova perché, questo suo essere artista e donna di cultura, ora fatto intrinseco che le appartiene più di un tempo, era comunque già presente in passato. Queste sue opere, attuali o facenti parte di un “archivio di memorie”, tutte, nessuna esclusa, partono dall’anima delle cose raccontandoci il senso di essere donna.”
Le sculture in mostra ritraggono le SireNaiadi: creature metà sirene e metà naiadi. La sirena, figura mitologica abitante del Mediterraneo e seduttrice di marinai si fonde con le naiadi, ninfe che popolavano le acque dolci e che secondo Omero erano le figlie di Zeus.
Qual è stata l’idea?
“Ho creato questo intreccio tra le due figure mitologiche perché, secondo il mio punto di vista, le donne sono le uniche che potranno lavorare alla conservazione del pianeta. È insito in noi il sentimento della cura che ci porta a rispettarlo. Noi donne siamo legate ancestralmente alla Terra: come lei crea i frutti necessari perché ci sia la vita, così noi lo facciamo con i figli che generiamo”.
Che tecnica hai usato per questa nuova produzione?
“Ho usato delle tecniche che mi sono particolarmente care: l’argilla pura che ho modellato non utilizzando smalti, ma abbinandola alla scultura con la pietra leccese; e poi la tecnica che mi accompagna ormai da anni, quella della ceramica Raku”.
È una tecnica nata in Giappone. In cosa consiste esattamente?
“Rispetto alla tecnica tradizionale, cui i pezzi vengono cotti nel forno e portati lentamente in temperatura per poi lasciali raffreddare, con la Raku i pezzi vengono sfornati quando la temperatura è molto alta, circa 900 gradi. Lo shock termico a cui sono sottoposte provoca delle microlesioni con un effetto tipo ragnatela. A quel punto vengono messi all’interno di bidoni di metallo, dove ho preparato una mistura di segatura, legno, carta di giornale in modo che l’opera prenda di nuovo fuoco e, riducendosi l’ossigeno, si creino dei particolari effetti metallici”.
Cosa ti affascina di questo modo di creare?
“È la casualità che la Raku ti regala, e questo mi entusiasma. Riesco a prevedere e dominare il colore solo sino ad un certo punto, l’alchimia poi fa il resto”.