Gravina, bellissima cittadina pugliese, è stata teatro di una misteriosa e dolorosa vicenda: il 5 giugno del 2006, due bambini, Francesco e Salvatore Pappalardi, non fanno ritorno a casa. Vane le ricerche. Nel febbraio del 2008, quando Michele, un altro bimbo, cade accidentalmente in una cisterna dentro un casolare abbandonato mentre gioca con gli amici, i soccorritori scoprono nella stessa cisterna i resti dei fratellini scomparsi anni prima.
Ospite del “Festival del Nuovo Rinascimento” a Milano, abbiamo incontrato Mauro Valentini, uno degli autori del libro “Ciccio e Tore, il mistero di Gravina“ che insieme a Luciano Garofano si è occupato della vicenda.
Cosa ti ha spinto ad occuparti di questo caso?
Questa storia mi aveva già colpito nel 2006. L’ho seguita da giornalista dagli inizi e da spettatore attonito per la situazione in cui si era venuto a trovare il papà di questi bambini. Dava la sensazione, anche solo guardando le poche notizie che avevamo riguardo alle indagini, che non c’entrasse proprio nulla, ma che invece in una sorta di macchinazione era stato incastrato e indicato come il “mostro di Gravina”. Un mostro che aveva ucciso i suoi due figli di 11 e 13 anni e ne aveva poi occultato i cadaveri. Luciano Garofano, che io considero il più importante esperto forense in Italia per ciò che riguarda le prove scientifiche e anche la deduzione criminologica, mi ha chiesto di visionare il materiale con cui lui aveva tentato di far riaprire il caso dalla procura di Bari per capire se poteva essere usato per raccontare la vicenda in un libro. Ho quindi intervistato Filippo Pappalardi, il padre delle due piccole vittime, il vero protagonista del nostro libro e di questa storia. Un uomo colpito da una terribile tragedia, che ha perso due figli in circostanze che noi crediamo e consideriamo abbastanza chiare, ma che alla Procura di Bari non lo sembrano affatto, e che poi è stato anche accusato ingiustamente di essere il carnefice. Quindi, con Luciano Garofano abbiamo deciso di scrivere questo libro per dare voce a Filippo Pappalardi, ma anche per fornire gli elementi che potrebbero essere decisivi per riaprire il caso e trovare così la verità. Noi crediamo fortemente che il padre di questi piccoli ne abbia il diritto.
Ciccio e Tore potevano essere salvati. É questo che avete scritto. Perché non è accaduto?
Quello che rende terribile questa storia è che la perizia medico-legale del Professor Francesco Introna, ha dato una sentenza agghiacciante. Secondo la sua relazione, il più grande dei due fratellini ha resistito 8 ore, il più piccolo probabilmente tra le 24 e le 36 ore. Potevano essere salvati, anche senza un intervento tempestivo. Sarebbe bastato che qualcuno, che certamente era lì con loro (bambini o adolescenti, non lo sappiamo. É difficile da accertare, ma certamente con loro c’era un gruppo di ragazzini forse tra i dodici e i sedici anni), fosse uscito dalla famosa o famigerata “casa dalle cento stanze” (così viene chiamato dagli abitanti della cittadina il casolare abbandonato dove sono stati ritrovati i corpi) e avesse dato l’allarme, perché Ciccio e Tore fossero ancora vivi. Ci siamo chiesti il perché. Uno dei motivi potrebbe essere la paura, sciocca, atavica, infantile, di incorrere in una punizione per un gioco che sapevano a loro vietato. O un motivo inconfessabile, per cui in quella casa stava succedendo qualcosa che non era il caso di andare a raccontare. Nessuno ha comunque avuto pietà né per Salvatore, né per Francesco Pappalardi e li ha lasciati in quel buco ad aspettare inutilmente i soccorsi. Quei ragazzini hanno vissuto ore (giorni, per uno dei due) di agonia, attendendo sicuri e fiduciosi che qualcuno li avrebbe aiutati.
L’accanimento verso questi bambini non finisce con la loro morte. Un anno fa circa, la loro tomba è stata profanata. Cosa nasconde per te questo gesto così crudele, inumano?
Nel libro raccontiamo questa violenza dando voce al papà di Ciccio e Tore. É un’offesa tra le più terribili. Guardando le foto del tentativo di profanazione della tomba, a cui hanno divelto il cristallo che la copre e spaccato il marmo sottostante, ciò che pensiamo sia io, sia Luciano Garofano, ma anche Filippo Pappalardi, è che avessero tentato di trafugare le salme. Questo è accaduto poche settimane dopo il deposito in Procura della richiesta di riapertura del caso. Forse a Gravina c’è ancora qualcuno che ha paura della verità. Tra l’altro la richiesta è stata rifiutata, e secondo noi la decisione è stata a dir poco frettolosa. Speriamo quindi, anche con l’aiuto di questo libro, di muovere le coscienze di chi qualcosa sa e che finalmente si deciderà a parlare. Non vogliamo arrivare ad una condanna, perché ormai i tempi sono dilatati, ma alla ricostruzione della vicenda. Ne hanno diritto sia quei piccoli innocenti che il loro papà. La Procura di Bari, che non ha trovato il bandolo della matassa nel 2006 e nel 2008, riaprendo il caso potrebbe in qualche modo accontentare finalmente questa sete di giustizia e verità da parte di una famiglia che è stata offesa negli affetti più cari.
Ti sei sempre occupato di cronaca nera, ricordiamo le tue inchieste e i tuoi libri sul caso Vannini, su quello di Mirella Gregori e Marta Russo. Ma sono anche tuoi due libri noir: “Lo chiamavano Tyson” e “Cesare (come quando fuori piove)”. Nel primo, racconti di un cinquantenne da tutti chiamato Tyson, oltre che per l’aspetto per la sua incapacità di controllare la rabbia. Per ventiquattro ore al giorno, Tyson, insieme al suo amico Pennello, vengono ingaggiati come custodi della villa di un famoso e facoltoso costruttore. Completamente immersa nel verde del quartiere romano Eur, l’edificio è dotato di un sistema antintrusione: una gabbia blindata. Un crescendo di azioni imprevedibili da parte dei due scateneranno una serie di eventi a dir poco sorprendenti.
In “Cesare (come quando fuori piove)” ti sei invece cimentato in qualcosa di più intimo. Cesare, il protagonista, vive infatti in una sorta di isolamento volontario, accompagnato da un insano malessere. E per capirne il motivo, analizza i momenti più importanti della sua vita. In questo percorso di ricerca rabbiosa, Cesare troverà qualcuno contro cui riversare le colpe del suo fallimento e deciderà di vendicarsi, mettendo in moto un piano violento, ma allo stesso tempo salvifico.
In quali dei due generi ti riconosci maggiormente?
Dopo aver raccontato la storia di Marco Vannini, ho avuto la necessità di allontanarmi da un dolore reale che avevo toccato con mano. Mi sono fermato a riflettere su quella che è la cattiveria umana. Non riesco a raccontare i fatti di cronaca senza metterci una sorta di firma narrativa, che però diventa anche un transfer nel dolore di chi ha subito quella violenza. Quando scrivo i romanzi, racconto delle storie inventate, ma molto verosimili. É come se poi, in fondo in me, vivessero due anime: quella del giornalista prestato alla narrativa, ma nel contempo quella del narratore che scrive di cronaca. I miei lettori mi dicono che paradossalmente è molto più forte e cruda, ma anche diretta e spietata, la mia scrittura nei romanzi; invece delicata, attenta ai particolari e ai sentimenti quando racconto di cronaca. Probabilmente c’è una sorta di liberazione da parte mia dal vero dolore. Quando, invece, si parla di persone che hanno sofferto, tendo alla protezione. Devo ancora capire quale delle due strade preferisco. I romanzi sono liberatori, ma una parte di me rimarrà sempre a disposizione di chi è vittima di ingiustizie.
I tuoi personaggi sono vittime e carnefici. Entrambi, sia Tyson sia Cesare, raccontano storie amare di periferia romana. Cosa ti lega a loro?
Hanno la mia stessa età, più o meno, e la mia origine romana. Questo, secondo me, rende credibili i personaggi, perché hanno i miei stessi ricordi riguardo alla storia. Hanno vissuto quello che ho vissuto anche io. Sono uomini che, nonostante siano persi, hanno i punti fermi su quello che sono le passioni di una vita, la musica, il cinema e il calcio…quello vero. E questi sono gli ingredienti con cui confeziono la personalità dei miei protagonisti. Sono quindi legato a loro nelle passioni e nei ricordi. Entrambi i personaggi hanno una rabbia nei confronti della vita fortissima. Questa rabbia, accompagnata da una sete di vendetta (più che di giustizia) che ho incontrato nelle persone, mi ha sempre affascinato dal punto di vista letterario e quindi è diventato un leitmotiv dei miei personaggi.
Info: Mauro Valentini è pubblicato da Armando editore