Aziza è senza parole. Le si sono fermate tutte in gola, prima ancora di poterne fare risalire una in superficie. Figurarsi farle sfuggire a grappolo, dare loro dignità di asilo su un testo, metterle in fila perbene, consegnarle ad altri.
E così, dopo averlo rivisto, non sapeva più cosa dire. Ed è stata in silenzio, dopo i tre mesi di assenza di lui.
Perché, sembra un miracolo, ma è vero: adesso lui è qui. È tornato due settimane fa dal suo Paese.
Lui le aveva chiesto di incontrarsi in un posto diverso, in una piccola città del centro Italia per giocare, almeno una volta, agli innamoratini della prima ora, e godersi la tranquillità di un borgo medioevale italiano, prima di riprendere la vita insieme nel caos della metropoli.
Aziza gli aveva detto sì. E il suo viaggio in treno era stato il più lungo della sua vita: chissà se quell’uomo che amava sarebbe tornato diverso dal lungo periodo passato lontano, chissà se avrebbe cambiato idea sul loro futuro, chissà se nel suo abbraccio lei avrebbe sentito un blocco o un flusso d’amore.
Durante il percorso Aziza non aveva voglia di parlare. Gli unici che le avevano rivolto la parola erano due stranieri: un arabo, che non trovava la biglietteria, e quattro ragazzi cinesi, che non sapevano leggere i numeri sul ticket del treno. Aziza era così tesa che si era preparata in anticipo per scendere alla fermata giusta. Poi, la frenata del treno, il bagaglio pesante, quella voglia di correre per piantarsi lì sotto, sotto quell’insegna, nel luogo dell’appuntamento. E poi lui: prima una macchia nera nell’orizzonte di Aziza. Poi un corpo, irrequieto nell’attesa. Un viso amico. Un abbraccio, l’abbraccio. Il bacio. “Mi sei mancata”. Non una parola di più. Non c’è bisogno. E in stazione fa caldo, troppo caldo, adesso, per Aziza.