Ramadan: quando canta il muezzin

Mi sono svegliata alle 5 del mattino, ascoltando il muezzin. Una voce che amo. Mi piace sapere che c’è qualcuno che scandisce le ore della giornata con la preghiera e che invita tutti a far lo stesso. Non lo nascondo. Ho nostalgia delle nostre campane, del richiamo dei fedeli cristiani alla riflessione. Nessuno, oggi, nelle nostre grandi città ci dice: “Ehi, fermati un attimo, ricordati da dove vieni e dove vai. Sappi che la vita è molto più e molto meglio di una corsa continua. Guardati dentro. Guarda il cielo. Ama. Prega”.

La voce del muezzin, vi sembrerà strano, mi ricorda tanto quella del prete di campagna del paese di mia nonna. Negli anni Settanta, al Sud, ancora esistevano queste realtà: un borgo, una chiesa, il municipio, tante case basse e una vita semplice. La porta di casa dava sulla strada. La aprivi al mattino, mettevi una sedia lì davanti e chiunque entrasse in casa (del resto, si conoscevano tutti) era il benvenuto. Il prete suonava le campane per tutti gli obblighi della Liturgia delle Ore.

Le campane dell’Angelus e dei Vespri duravano di più. Ricordo anche mia nonna: si precipitava a prendere il rosario. Tra le sue mani ossute quei grani marroni mi facevano pensare alle gemme che si aprono in primavera sul ramo di un vecchio albero. Chiudeva gli occhi e pregava. Per pochi minuti. La guardavo e mi sentivo in pace.

Lo so, qui è molto diverso, ma alla fine nemmeno poi tanto. Per cinque minuti ogni attività si blocca. Il garçon dell’albergo sarà scappato in una stanza pensata appositamente per la preghiera dei dipendenti; il tassista avrà steso il suo tappeto davanti al Suv che ci ha portati dall’aeroporto a qui; gli altri avranno fatto il possibile per fermarsi e pregare. Siamo in Ramadan. E non c’è periodo dell’anno più importante per viaggiare in Oriente e per capire un Paese arabo.

Gloria riposa nella stanza accanto alla nostra. È sola. Il suo uomo è andato a dormire in famiglia. Domani sarà “introdotta” in casa. Il mio uomo è già fuori dall’albergo. Ha preferito andare a pregare in moschea, alle prime luci di questa alba. Prima di uscire, mi ha ricordato un versetto del Corano, il 58esimo, Sura decima: “Grazia di Dio e Sua Misericordia. Ecco ciò di cui dovrebbero rallegrarsi, ben più di quanto accumulano”. Se c’è un elogio della lentezza, del senso del vivere spirituale e dell’essenzialità, è questo. Oggi sono felice di essere qui.

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1 Comment

  • Mohamed Ben Abdelmalek

    il muezzen non canta!!!

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