Rivolte nel mondo arabo: come cambieranno le politiche migratorie in Europa?

Le guerre cambiano la gente, le prospettive, gli orizzonti, ma anche i confini. Le rivolte arabe in atto pongono il Mediterraneo al centro dei flussi migratori e l’Europa non può che rendersene conto. Oltre venti milioni di immigrati regolari vivono nei Paesi UE. Le rivolte in Tunisia, Egitto, Libia, e chissà ancora dove si estenderanno, produrranno nuovi arrivi. I Paesi europei stanno aprendo le frontiere agli stranieri in fuga alla ricerca di una vita migliore e oggi sono obbligati a pensare e agire più in senso globale, guardare quindi oltre i propri confini.

Il tema delle migrazioni è in queste settimane al centro del dibattito nelle politiche europee. Il 28 febbraio scorso è stato presentato a Bruxelles il MIPEX III (Migrant Integration Policy Index), il più vasto studio riguardante la legislazione UE sull’immigrazione. La ricerca, realizzata dal British Council e il Migration Policy Group con la partnership della Fondazione ISMU (per l’Italia), prende in esame 31 Paesi (Europa, Norvegia, Svizzera, Canada e Usa): nonostante ci siano forti disparità tra le politiche di integrazione adottate, sembra che – forse, anche dopo le rivolte nell’Africa mediterranea – ci sia una presa di coscienza e ci si muova, seppur lentamente, verso una direzione più definita.

Sono ancora molti gli ostacoli da superare per migliorare la vita dell’immigrato in Europa: la partecipazione politica, per esempio, non è incoraggiata; le politiche sull’istruzione non rispondono spesso ai bisogni delle nuove generazioni di studenti stranieri; le coperture sociali per gli immigrati regolari (che lavorano e versano le tasse) sono minori rispetto a quelle rivolte al resto della popolazione; i requisiti e la burocrazia per il ricongiungimento famigliare sono elevati e complessi; infine le istituzioni per la promozione dell’eguaglianza sono ancora deboli.

Stando ai dati Mipex III, il ruolo dell’Italia viene considerato complessivamente favorevole. Rispetto ai risultati del 2007, l’Italia, nonostante ora più che mai si trovi ad affrontare un forte flusso migratorio, rimane sempre sopra la media europea e si colloca al decimo posto nella classifica generale delle politiche immigratorie (6° per le politiche sul ricongiungimento famigliare; 7° per l’accesso alla cittadinanza; 8° per l’ottenimento del permesso di soggiorno di lungo periodo; 10° per la mobilità del mercato del lavoro; 14° per la partecipazione politica degli immigrati; 15° per la lotta alla discriminazione e 19° per l’istruzione).

Un ulteriore quadro dei flussi migratori nei Paesi sviluppati, con un approfondimento sul tema dell’integrazione, è raccolto nel dossier Ocse-Sopemi International Migration Outlook (e Censis, in qualità di corrispondente dell’Ocse per l’Italia), presentato oggi a Roma da Onc-Cnel in collaborazione con il Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali – Direzione Generale Immigrazione.

Studi e analisi su flussi migratori, politiche internazionali e cambiamenti di mondi e persone non mancano dunque. Resta solo da analizzarli e trovare risposte adeguate. Nell’editoriale del Corriere della Sera del 1 marzo, Antonio Polito scrive di come, in poche settimane, l’Italia abbia cambiato la sua collocazione geopolitica e di quanto, ora più che mai, sia necessario aprire gli occhi e prendere nuove decisioni. Anche Romano Prodi, in un’intervista di Fabio Martini per La Stampa, spiega quanto un intervento europeo sia urgente. “La missione dell’Europa è di guardare verso Sud” dice. “Serve una partnership per far germogliare i semi della democrazia”.

L’Italia e l’Europa si trovano dunque nella situazione di doversi mettere in gioco ed affontare in modo rapido e deciso la nuova ondata di flussi migratori. Ciò potrebbe rappresentare l’occasione per migliorare le proprie politiche di immigrazione ed integrazione ed incoraggiare una maggiore e diffusa comprensione tra culture.

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