Sono 10 gli italiani rapiti in Africa e ancora ostaggi dei loro sequestratori. Non importa che siano turisti, volontari, espatriati, skipper o marinai, i rapitori non guardano in faccia a nessuno. La Farnesina sta lavorando in silenzio per non mettere a rischio le trattative di rilascio e la società civile fa la sua parte con appelli e campagne di sensibilizzazione, ma le famiglie temono l’abbandono.
LA MIA VERITÀ – Nel 2012 l’Algeria impiegherà 75 mila uomini nella lotta al terrorismo. Non possiamo e non dobbiamo lasciarli soli.
L’equipaggio del cargo Rosalia D’Amato, sequestrato dai pirati il 21 aprile di quest’anno nell’Oceano Indiano, a circa 350 miglia marine a sud-est di Salalah, in Oman, è libero dal 25 novembre scorso. In buone condizioni i 21 marinai a bordo: 15 filippini e 6 italiani (Orazio Lanza, comandante; Antonio Di Girolamo, direttore di macchina; Gennaro Odoaldo, terzo ufficiale di coperta; Vincenzo Ambrosino, allievo ufficiale di macchina; Giuseppe Maresca, secondo ufficiale di coperta di Vico Equense; Pasquale Massa, primo ufficiale di coperta di Meta di Sorrento e residente in Belgio). Dovrebbero rientrare in Italia tra meno di una settimana. La notizia della liberazione è arrivata in diretta Confitarma, mentre era in corso una riunione sul tema dei rapporti banche-armatori. Le trattative per il rilascio in questi mesi sono andate avanti ininterrottamente nel più assoluto riserbo, per tutelare la vita dell’equipaggio. Non è ancora chiaro se sia stato pagato o meno il riscatto iniziale di 6 milioni di dollari. A bordo del cacciatorpediniere Andrea Doria, della Marina militare italiana che ha partecipato alle operazioni di rilascio, l’ammiraglio Gualtiero Mattesi pare non saperne nulla.
Questa è la seconda liberazione, dopo quella dell’equipaggio della Montecristo assaltata al largo della Somalia. Restano ancora in mano dei sequstratori, invece, i 5 italiani e 16 indiani della petroliera Savina Caylyn, appartenente alla società napoletana Fratelli D’Amato. Sono il capitano Giuseppe Lubrano Lavadera e Crescenzo Guardascione di Procida, il triestino Eugenio Bon e Gian Maria Cesaro di Piano di Sorrento. Inizialmente si era parlato di un riscatto di 14 milioni di dollari a fronte dei 7,5 offerti dalla compagnia armatrice, ma, il 18 ottobre scorso, una nota trasmessa via mail dai tecnici della compagnia al braccio destro dell’armatore, il capitano Pio Schiano, faceva sperare comunque in una imminente liberazione. Si accennava ad un cambio di equipaggio nel giro di 5 settimane dalla data della mail. Purtroppo, il 18 novembre scorso, la testata online Libero Reporter ha ricevuto una telefonata dal comandante autorizzato a comunicare da bordo. I somali hanno lanciato un ultimatum: o il riscatto viene pagato per intero entro la fine del mese, oppure i pirati alzeranno le richieste e i tempi per la liberazione diventeranno molto lunghi. Il giorno dopo questa telefonata, Pio Schiano vola a Londra per incontrare il mediatore inglese incaricato di condurre i negoziati. Mancano poche ore.
Il sequestro più recente è quello di Rossella Urru, una cooperante rapita in Algeria nella notte tra il 23 ed il 24 ottobre scorso. Studiosa del mondo arabo, lavorava nel campo profughi Saharaoui da due anni, coordinando i progetti legati alla nutrizione per Cisp (Comitato Italiano Sviluppo dei Popoli). Attualmente nel campo si contano ancora 150 mila rifugiati.
Come lei, altri quattro italiani sono sotto sequestro nel deserto. Per liberarli ci vogliono soldi, molti soldi. Il primo ad essere stato rapito è Bruno Pellizzari, italiano residente in Sudafrica, sparito il 10 ottobre del 2010 insieme alla compagna sudafricana Deborah Calitz mentre si trovava sullo yacht Choizi al largo della Tanzania. Assaltata dai pirati, l’imbarcazione è stata dirottata verso la Somalia. I sequestratori hanno chiesto ai familiari una cifra esorbitante per il rilascio: 10 milioni di dollari. Peter Eldridge, lo skipper e proprietario dello yacht che viaggiava con loro, è riuscito a fuggire lanciandosi in acqua ed è stato salvato da una nave militare francese.
Il 2 febbraio scorso a Djanet, nel Sahara algerino, è toccato a Maria Sandra Mariani. La donna, 53enne fiorentina, ha parlato in una registrazione audio diffusa il 18 febbraio scorso dalla tv araba al Arabiya in cui diceva di essere nelle mani di una formazione terrorista marchiata Aquim, braccio destro di Al Qaeda nel Maghreb.
Pochi giorni dopo, precisamente l’8 febbraio scorso, viene preso dai terroristi di Al Quaeda anche Franco Lamolinara, ingegnere edile sequestrato il 12 maggio 2011 a Birnin Kebbi, nel nord della Nigeria, dove lavorava per la ditta italiana Stabilini Visinoni Limited. I familiari, che vivono a Gattinara (Vercelli), hanno ricevuto pochi mesi fa un video in cui Franco veniva mostrato legato e con gli occhi bendati, mentre uomini con il volto coperto gli puntavano addosso i mitragliatori.
Francesco Azzarà, operatore umanitario di Emergency, diventa ostaggio il 14 agosto di quest’anno. E’ stato catturato nei pressi di Nyala, capitale del Sud Darfur, mentre si stava dirigendo in auto verso l’aeroporto della città. Era alla sua seconda missione a Nyala come logista del Centro pediatrico aperto in città nel luglio del 2010.
Inizialmente nelle mani di una tribù araba vicina al governo, è stato ceduto dopo poco più di un mese ai Janjaweed, noti per le stragi più efferate nei villaggi del Darfur.
La lista è lunga, come lunga è l’attesa per conoscere il destino di molte di queste persone, le cui vite sono state prezzate, sospese e segnate per sempre. Diventa necessaria un’azione europea comune nel campo della sicurezza, che segua due strategie ben definite: la prima dovrà puntare a migliorare il coordinamento delle politiche di difesa dei vari Paesi, la seconda dovrà richiedere un maggior impegno economico finalizzato a potenziare il Fondo Europeo di Sviluppo (FES) e l’azione della Banca per gli investimenti (BEI).
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brava!