Il telefono squilla e rompe il silenzio che c’è in salotto. Hassan risponde e finalmente una voce amica, quella di una bambina. “Sto bene” le dice “Non ti devi preoccupare. Sono al sicuro” afferma mentendo anche a sé stesso.
Hassan abita ad Imbaba, uno dei quartieri più poveri del Cairo, dove vivono 6 degli oltre 20 milioni di abitanti che popolano la capitale egiziana. Sua moglie è morta l’anno scorso e ora vive da solo, in una piccola casa su due piani. La sua via di solito è rumorosa, con venditori ambulanti che urlano senza sosta, carretti e asini che vanno e vengono, un forno a due isolati con lunghe code al mattino e qualche tuk-tuk che passa di tanto in tanto.
Oggi non c’è nessuno, solo il silenzio, la fame e la paura. E’ da venerdì scorso che Hassan trascorre le giornate chiuso in casa, come Annarita – che vive nella zona residenziale di Maadi, dall’altra parte della città – e come molti dei cairoti che hanno scelto di non andare a manifestare in piazza Tahrir. La paura di lasciare incustodite le loro case prevale. Non ci sono alternative, se non quelle di seguire le proteste dalla propria abitazione, con il cuore in gola. La radio e la televisione sono costantemente accese.
“Ho bloccato la porta d’ingresso con il divano” ci racconta Hassan dal telefono fisso di casa. “Ho anche oscurato le finestre, così nessuno può guardare dentro”. Poi continua “Il mio cellulare non funziona da giorni e neppure internet. Apre i pensili della cucina per vedere cosa gli resta ancora da mangiare: “La mia dispensa è finita. Ho terminato anche gli ultimi fagioli che avevo comprato al mercato”. Gli rimane solo un pacco di zucchero e l’acqua; quella, per fortuna, ancora non manca. Riempie dunque un cucchiaino di zucchero e lo immerge in un bicchiere colmo d’acqua. “Oggi mi tocca questo, domani, se Dio vuole, troverò qualcos’altro”.
“Perché non chiedi un po’ di cibo ai tuoi vicini?” gli domandiamo. “Non posso” risponde. “Il mio quartiere è pieno di bambini e sono loro a dover mangiare per primi. A me basta un po’ di zucchero!”.
Ad Imbaba i negozi sono chiusi ed è difficile trovare da mangiare. “La gente ha paura dei criminali. Girano liberi per le strade con i coltelli in mano” ci spiega. “Hanno incendiato il supermercato Carrefour e la metropolitana della città”. Quando domandiamo ad Hassan maggiori notizie in merito a questi delinquenti, lui non esita un secondo: “E’ stato il Governo a farli uscire di prigione. Vuole terrorizzarci e ci sta riuscendo”. Niente polizia dunque ad Imbaba, solo paura e fame.
7 Comments