Ancora una volta, l’attacco alla maratona di Boston prende in esame il rapporto tra l’Islam e la violenza.
Il fatto che gli autori dell’attentato siano musulmani credete che sia un puro caso?
O l’Islam stesso è la colpa?
Qualcuno cerca di dare una risposta …
Lo fa Philippe d’Iribarne, direttore di ricerche al CNRS, in un articolo pubblicato sull’ Huffingtonpost.
Gli argomenti non mancano per affermare che la violenza non ha nulla a che fare con l’Islam. Anche se si parla nel Corano di “infedeli”. “S’ils ne se retirent pas loin de vous ; s’ils ne vous offrent pas la paix ; s’ils ne déposent pas leurs armes ; saisissez les ; tuez-les partout où vous les trouverez“. (91 IV).
Si sostiene anche: “S’ils se tiennent à l’écart, s’ils ne combattent pas contre vous, s’ils vous offrent la paix, Dieu ne vous donne plus alors aucune raison de lutter contre eux.” (90 IV) .
E le discussioni che oppongono gli esegeti del Corano sul significato preciso da dare a questo o quel versetto – tono pacifico o bellicoso – sono sufficienti per dire che l’Islam non si appella sempre alla violenza.
Per avanzare nella questione, perché non applicare al mondo islamico un approccio intellettuale che è evidente nelle aree meno ideologicamente coinvolte. In termini molto generali, l’intensità della presenza di un fenomeno in un dato ambiente (ad esempio, il fatto che i mancini sono sovrarappresentati tra i campioni olimpici di scherma ) è considerato significativo rispetto alle proprietà dell’ambiente in generale (mancini), anche se il fenomeno in questione è del tutto marginale (i mancini sono rari campioni olimpici). Questo tipo di ragionamento è alla base di tutti gli studi epidemiologici.
Per quanto riguarda la realtà umana, ci si chiede se all’interno di un ambiente umano, sociale, culturale esista un terreno fertile per lo sviluppo di un comportamento, anche se marginale nell’economia generale dell’essere umano. Ad esempio, il fatto che gli uomini commettano più omicidi rispetto alle donne – una media di 3,3 contro 1 per 100mila abitanti nei Paesi OCSE – è visto come significativo circa gli uomini in generale – anche se le spiegazioni differiscono tra il testosterone e la società maschilista.
Non ci sarebbe parimenti nell’islam un fattore che, senza condurre meccanicamente alla violenza, gli offrirebbe un concime favorevole? Un elemento, che non riguarda le piccole minoranze, ma le società musulmane nel loro complesso, e che può aiutare a cogliere questo fattore: le difficoltà che incontra l’avvento della libertà di pensiero in terra d’Islam, soprattutto quando si tratta di religione.
La nuova edizione 2013, della classifica mondiale della libertà di stampa fatta da Reporters sans frontières, ad esempio, fornisce un indizio. La Turchia, spesso pubblicizzata come il faro della democrazia nel mondo musulmano, è in questa classifica al 154esimo posto (su 176 Paesi) e viene denunciato come “la più grande prigione al mondo per i giornalisti.” Paesi in cui è sbocciata la “Primavera araba” sono al 138esimo posto (Tunisia) e 158esimo (Egitto). Et ce sont des pays musulmans qui accompagnent les pays communistes pour fermer la marche.
C’è veramente da stupirsi se una tale resistenza al libero pensiero, che genera su grande scala una forma ancora moderata di violenza (in galera chi pensa male), a volte apra la strada a forme più selvagge?
Toute une vision de l’incrédule, en entendant par là celui qui, se déclare-t-il ou non musulman, rompt l’unité de la communauté avec la certitude dont elle est porteuse est en jeu.
Il Corano fornisce una visione dantesca di colui che, rifiutandosi di sottomettersi alla prova schiacciante dei messaggeri di Dio esprime dubbio e contesta, pretendendo di farsi una propria opinione.
Tale individuo è presentato, sura dopo sura (e su questo punto il Corano è perfettamente omogeneo), come un perverso, pieno di orgoglio e di odio, sottoposto alla vergogna dei credenti e alla vendetta di un Dio che riserva la misericordia solo a coloro che si sottomettono senza riserve. E la fascinazione per la certezza, e l’avversione per coloro che disturbano l’unità della comunità segnano profondamente il mondo islamico. Ciò influenza le relazioni tra sunniti e sciiti, come i rapporti tra musulmani e non musulmani.
“Certes, une manière de vivre ce regard porté sur les incrédules est de coexister plutôt pacifiquement avec ceux qui sont prêts à accepter le statut de dhimmis (protégés), avec tout ce qu’il implique d’inégalité de droits et de soumission à la communauté des croyants. Certes, les formes d’islam plus ou moins syncrétiques qui ont pris corps au cours de l’histoire ont souvent été plus avides de mystique que mise au pas des incrédules”.
Ma in un momento in cui lo status di dhimmi tende a scomparire, dove i musulmani sono più spesso ora in una situazione di dominati che di dominanti come in passato, e dove sta nascendo un grande movimento di ritorno alla fedeltà al Corano, come stupirsi che una tale visione può favorire una certa violenza radicale.