“Loro” hanno visto. Loro l’hanno vista. Perché c’erano e possono raccontare davvero come è andata. Da tante angolazioni diverse. Ma con un’unica comune certezza: la fierezza di essere egiziani. Sono studenti, madri di famiglia, impiegati, commercianti, musulmani e cristiani. Sono i nove protagonisti di Shuft, il documentario di Lucrezia Botton, Matteo Vivianetti, Andrea Balossi Restelli, realizzato tra febbraio e giugno 2011 dagli autori al Cairo. Nato da un’idea: rappresentare la rivolta in piazza Tahrir attraverso il ricordo di chi c’è passato, e da chi non sempre ci credeva al 100%.
«Il video – racconta il regista Andrea Balossi Restelli, che ha curato il montaggio dei materiali – è volutamente “sporco”: girato con telecamerine manuali, ha come obiettivo quello di raccontare la rivolta attraverso il vissuto degli abitanti del Cairo. Ci siamo avvalsi anche di piccoli filmati girati in piazza con i telefonini e di video caricati da Youtube per ottenere un effetto da presa diretta».
Botton e Vivianetti, entrambi italiani che vivono e lavorano al Cairo, hanno costruito questo lavoro a caldo: «Due settimane dopo la destituzione di Mubarak». Hanno piazzato una telecamera davanti a nove “egiziani-tipo” nel salotto della loro casa, al bar, sul terrazzo o in piedi davanti a una mostra e si sono fatti raccontare il risultato di quella esperienza: hai visto? Cosa hai visto?
Neama, Mai, Ibrahim Zizo, Shafir e tutti gli altri cui il documentario Shuft dà voce, non vedono l’ora di testimoniare per primi la loro meraviglia. Ibrahim: «Abbiamo imparato a fare la rivoluzione grazie ai tunisini». Shafir: «In piazza Tahrir, nessuno aveva paura». Neama: «Prima il governo aveva creato tensioni tra cristiani e musulmani, ma durante la rivoluzione ci volevamo tutti bene». Questa è la meraviglia di chi si scopre egiziano ed è fiero di esserlo. Tra loro, c’è chi ammette che prima non si interessava di politica e ha iniziato seguendo i ragazzi tunisini su Facebook; c’è chi si sorprende del fatto che gli egiziani della middle-high class siano scesi in piazza a manifestare; c’è chi ammette di non aver creduto nelle nuove generazioni e ha dovuto cambiare idea; c’è chi adesso sa che alle manifestazioni bisogna andare armati di pepsi, aceto e cipolla, per impedire di essere storditi dai lacrimogeni; c’è chi confessa di essersi sempre bevuto la propaganda del regime e di avere aperto gli occhi solo grazie alle associazioni per i diritti umani; c’è chi racconta fino a che punto il governo di Mubarak si avvalesse di un vero e proprio stato di polizia per mantenere l’ordine; c’è chi è convinto che il peggio sia passato e il meglio sia ancora tutto da ricostruire. C’è chi dice, semplicemente: shuft, io ho visto. Io c’ero.
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