DoveStiamoAndando? A imparare l’integrazione in Uganda

Valeria Cerza, ERP in Uganda

ROMA. L’Educational Response Plan for refugees and Host Communities (ERP) è un programma approntato dal governo ugandese e da varie organizzazione internazionali fra cui United Nations High Commissioner for Refugees (UNHCR). Lanciato nel 2018 e operante fino al 2021, L’ERP si prefigge di migliorare la qualità dell’apprendimento per un numero crescente di rifugiati e di minori ugandesi. Con sede centrale a Kampala, il piano viene realizzato nei 13 Hosting Refugees Districts del territorio.

Sono circa un milione e mezzo i rifugiati in questo Paese che, “per l’accoglienza, è primo fra quelli africani e quarto nel mondo; in testa la Turchia, poi Colombia, Pakistan, Uganda e Germania”, ricorda Valeria Cerza, responsabile del servizio Monitoring and Evaluation nel team di ERP (composto da lei, Constance Azuleyo, Andi Jimmi Ronald, Anik Ankunda Hende). Una 30ina di anni, romana, madre con ascendenze etiopiche, laurea in legge e master in diritto spagnolo, perfetti inglese e spagnolo, Valeria presta la sua attività con UNHCR e il Ministero dell’educazione e dello sport da poco più di un anno; prima, è stata con International Fund Agricultural Development (IFAD) e ha avuto esperienze in Africa, Asia, Sud America.

“I rifugiati, che principalmente arrivano dalle regioni di confine”, racconta, “hanno il medesimo accesso ai servizi dei cittadini, ben compresa la fruizione di centri sanitari e scuole; possono liberamente muoversi sul territorio nazionale; condividono con le comunità locali anche le risorse naturali come la legna da ardere; in ogni scuola per rifugiati ci sono pure ragazzi ugandesi e viceversa”.

Si chiama integrazione. Perseguita con i fatti, nel concreto
“Ognuno che entra viene registrato e riceve un minimo di contante, un po’ di cibo, un minuscolo appezzamento di terreno per costruire una casetta e coltivare un orto – che avesse prodotti in eccedenza li venderà alla comunità locale. La maggior parte arriva, a piedi, dal confine nord; fino a poco fa numerosi dal Sudan, i flussi adesso sembrano diminuiti, ma si ingrossano quelli del Congo DRC. Di fatto, gli arrivi sono in costante aumento, e questo rende infinito il nostro lavoro”.

La ragione d’essere di ERP?
“E’ l’istruzione. L’istruzione come speranza di vita per i minori rifugiati e per quelli delle comunità ospiti. Andare a scuola dà un senso di normalità, fa sentire protetti, aiuta a realizzare le proprie potenzialità. Dei rifugiati che affluiscono qui, l’82% sono donne e bambini; di questa cifra i bambini sono oltre la metà, il 37% dei quali non accompagnati – i genitori sono morti, oppure li hanno fatti partire soli pur di metterli in salvo. (L’ONU fissa la maggiore età a 18 anni, salvo diversa normativa del Paese ospite)”.

Come organizzate le scuole?
“Per tutti i minori (dai 3 ai 18 anni) primo obiettivo è rendere l’accesso realmente possibile a ciascuno di loro; poi fornire un numero adeguato di classi, insegnanti, banchi, libri, materiale scolastico, istituire anche scuole di specializzazione artigianale, prevedere un servizio di supporto psicologico e di salute mentale. Inoltre vengono proposti corsi specifici per chi non sia mai stato a scuola, testare determinate innovazioni (come la high tech learning). Purtroppo pochissimi ragazzi, e ancora meno ragazze, arrivano alle superiori, per una serie di ragioni tra cui la mancanza di documentazione che dimostri il completamento dell’istruzione primaria nei Paesi di origine, la lunga distanza tra le case e le scuole, il bisogno di lavorare”.

Difficoltà quotidiane?
“Il sovraffollamento, la mancanza di insegnanti e le lingue diverse. In media, nelle nostre classi ci sono 82 allievi, punte massime di 100; la media nazionale è di 53 bambini per classe. Per le lingue, sovente fra i rifugiati vengono scelti alcuni assistenti; un progetto UNESCO dovrebbe consentirci presto di assumere anche dei docenti”.

Istituita dall’Assemblea Generale delle Nazioni Unite il 14 dicembre 1950, l’UNHCR ha ricevuto due premi Nobel (1954 e 1981). A fine anno scorso, le persone costrette a lasciare le proprie case erano in totale 89.5 milioni: per metà sfollati (cioè rimasti all’interno dei confini nazionali) e per il 40% minori. Ai palestinesi profughi (5 milioni) provvede United Nations Relief and Works Agency for Palestine Refugees in the Near East (UNRWA).

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