Procrastinare, ritardare la verità. Devo imparare da Sherazade. Nelle sue Le mille e una notte seppe attendere e, attendendo, riuscì a salvarsi. Anch’io, dunque, “pazienterò affinché la gente sappia che fui paziente per cose che sono più amare dell’aloe” (dalla Storia del facchino e delle ragazze).
Perché, se c’è una cosa della sua cultura che non amo, che non capisco, che non mi appartiene, è una segretezza che, nei casi migliori, coincide con la riservatezza. Ma che, nei peggiori, diventa menzogna. Buio. Nero.
Tra due amanti è inevitabile qualche silenzio, una parola in meno, un gesto di cui non comprendi a fondo la natura. Ma a volte i silenzi tra noi sono troppi, le parole sempre meno. Non è una questione di afasia, di incomunicabilità, di feeling che non c’è. È che, per Aziza, non esiste rapporto d’amore senza condivisione piena, chiarezza, fiducia.
Aziza ama la luce, noor in farsi, nur in arabo. Aziza ama parlare, parlarsi, chiarirsi. Lui no. Lui ha dei luoghi di se stesso, in se stesso, che non condivide con nessuno, nemmeno con lei.
Nelle sue fantasie, negli incostanti flussi del suo pensiero, Aziza pensa che lui non la voglia fare entrare. Perché non sono fatti suoi, e perché essere la sua donna non equivale, per lui, a considerarla una compagna a tutti gli effetti. “La mia donna – dice lui, adesso – mi deve sentire e questo le deve bastare. Deve sorridere sempre, pronta ad amarmi. Parlare poco, non pretendere nulla e nulla deve chiedermi di ciò che non le voglio dire”.
Come sei diverso da me. Tutto quello che non ti ho detto, da quando sto con te, è alla luce del sole. Invece, in quel buio in cui ti rifugi, tu cosa nascondi? Non nascondi il passato ma il presente. Ne sono sicura. Tu nascondi un altro amore, re Shahriyàr.