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Di lui sono sempre stata gelosa..

Certo, è inutile nasconderlo, di lui sono sempre stata gelosa. Perché è bello. Perché è uomo. Perché ha un cuore grande ed è sensibile come una foglia sente il vento. E anche se non scappa via, ho paura che qualcuno lo possa staccare da me.

Sono passati solo dieci giorni e lui non torna, ancora. L’attesa è lunga. Cosa fare per ingannare il tempo? Aziza si ammazza di lavoro. Lavoro, lavoro e ancora lavoro. E poi esce da casa, come mai durante il resto dell’anno fa, e si ubriaca di amici.

Certo, se ci pensate bene, è strano come l’amore, specie nei primi tempi della fiamma, ci faccia concentrare solo sull’amato. Equivale a vivere grazie a un’unica funzione vitale, potentissima, come se il sole avesse perso di vista tutti i pianeti e avvicinasse la sua orbita solo a Venere, fino a bruciarlo.

Comunque nella mia gelosia, so misurare i gesti. C’è un modo sottile ma fermo per fare capire a un uomo arabo che ti deve rispetto. Piccoli ricatti verbali, sottili vendette del cuore. Ma è geloso anche lui, non crediate. Non lo dà a vedere perché la donna libera, indipendente, occidentale sono io, e lui sa che non può cambiarmi.

Ma ogni tanto dà segnali inequivocabili. Come quella volta che si ingelosì di un certo Osama, suo conterraneo, uno stupido infermiere dell’ospedale dove avevo accompagnato una mia amica, volontaria di una Ong. Osama si ostinava a cliccare “I like” su qualsiasi mio stato di Facebook. Sì, diciamolo, l’infermiere era uno stolker del social network e io gli avevo concesso l’amicizia con leggerezza. Mi aveva anche chiesto se ero fidanzata e, nonostante il mio sì, insisteva parecchio nel corteggiarmi. Finché non l’ho liquidato con un bel “Rimuovi dagli amici”.

Tralasciando questo episodio, in cui poteva avere ragione, il mio uomo, geloso lo è davvero: si preoccupa sempre che tra i miei amici della vita reale e di quella virtuale si possa annidare qualche spasimante focoso, qualche temporaneo amante. Non fa scenate, ma poco ci manca. E allora, quando parte per la tangente di Otello, gli recito questi versi di Hikmet. “Sei la mia schiavitù/ sei la mia libertà/ sei la mia carne che brucia/ come la nuda carne delle notti d’estate/ sei la mia patria/ sei la mia nostalgia/ di saperti inaccessibile/ nel momento stesso/ in cui ti afferro”. Habibi, a buon inteditor poche parole. Claro?

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