Aggiungi un posto a tavola che c’è un amico in più. Vi ricordate la canzone più famosa del mitico spettacolo musicale di Garinei e Giovannini? Ecco, dimenticatevi il musical e calatevi nella realtà. Questa è la filosofia di casa nostra, un concentrato di senso dell’ospitalità da fare invidia a una comune.
Anzi, direi che è meglio di una comune: a casa nostra atti e comportamenti del Sud Italia si sono mixati con il senso della famiglia allargata agli amici che solo gli arabi hanno in queste forme così generose e ricche d’affetto.Il risultato è una maratona tra i fornelli che mi tocca affrontare spesso al ritorno dal lavoro o, come è nella tradizione del Sud Italia, la domenica. Posto che non immaginate quanta fatica extra mi tocchi fare durante il ramadan e per l’eid-ul-fitr. Ma, alla fine, non mi pesa. Cucinare mi piace e ho imparato anche piatti del Maghreb e del Mashrek, con qualche incursione nella cucina persiana. Il mio Zereshk Polo, a detta del mio più caro amico iraniano, è abbastanza insuperabile, tra quelli preparati dagli italiani. Almeno, così lui dice.
Oltre a imparare a cucinare alla maniera araba, per accontentare la voglia del mio uomo di avere spesso amici a cena, ho addirittura ceduto all’ipotesi di cambiar casa. Tra poco andremo a vivere in un appartamento più grande, un magnifico loft con una sala da pranzo enorme, per onorare gli ospiti. Già lo immagino col suo piatto di perfetto cuscus di pesce avanzare trionfante verso gli amici che sbavano alla vista di cotanta bontà o che si posizionano meditativi sul divano in attesa di un tè preparato con la menta e con tutti i sacri crismi.
Certo, in questa ospitalità ci sono i pro e i contro, sia per me, sia per gli ospiti. Per me, l’avete capito benissimo. Senza contare che, dopo ogni cena, i piatti da lavare sono parecchi. Così, alla fine ho convinto lui ad acquistare una bella lavastoviglie. Almeno la fatica del dopo è tamponata. Ma per gli ospiti, oddio, tutto va bene finché sono io a posizionare il cibo nel piatto di portata. Ma quando si tratta di fare il bis, scatta il dramma. Lui cede alla sindrome dell’arabo perfetto e carica i piatti degli amici fino all’inverosimile, per fare cosa gradita all’ospite. I malcapitati, se sono arabi, sanno come cavarsela con lui. Ma se sono italiani (specie se giovani donne alle prese con la dieta, nonostante non abbiano affatto bisogno di farla) entrano nel pallone, cedendo alla sua insistenza. E certe volte vedi qualcuno che fa un boccone e mastica per ore sorridendo, nella speranza che il padrone di casa capisca, si impietosisca e non insista più.
I primi tempi in cui ero fidanzata con lui, lo sperimentai a mie spese. La zia Zina mi invitò a Roma, dove vive, mentre lui era tornato al suo Paese. La tavola di Zina era apparecchiata con una magnificenza che ho visto di rado. E cosa dirvi del resto, squisito davvero? Dolma per antipasto e pasta con yogurt, carne macinata e pinoli come primo; e poi kubba, hubz arabo, bamja a volontà. A chiudere un magnifico budino di riso con cannella, zenzero e pinoli e una composizione di frutta e melograno che pareva un’architettura babilonese. E io, che mi vedevo già rotolante per le scale, ma per il momento ero inchiodata alla sedia e impotente di fronte a tutti i bis che mi si chiedeva di onorare, ripetevo come un mantra alla zia il mio gentile “Laa, sukran”, “No, grazie” con effetti fantozziani. Perché il piatto veniva riempito ogni due secondi e io non potevo alzare bandiera bianca. Mi toccò ingurgitare a raffica mostrando totale gradimento e soprattutto simulando di avere la fame di un cammello del Negev dopo giorni passati nel deserto. In realtà, tra un boccone e l’altro, attendevo solo (inshallah!) un esercito liberatore.