Inizio anno: si rientra nella routine, solita noia.
Ma non per Gloria, l’amica di Aziza. Ieri ha preso un aereo per fare la prova del nove: vivere sotto lo stesso tetto per 15 giorni con il futuro marito e la prima moglie di lui, Asma. Una scommessa che parte con il piede giusto.
Sono in coda nel traffico di inizio anno e inizio settimana. Do un’occhiata al mio vicino, in attesa di fronte al semaforo rosso, seduto dentro la sua utilitaria gialla. Sguardo fisso in avanti, tra il sonno e la noia, le dita nel naso. Mi chiedo cosa avranno di eccitante le nostre città se producono uomini di questo genere, incroci tra l’automa e l’animale.
Sorrido, pensando alla scelta sentimentale che ho fatto e che tengo per me, senza rivelarla ai conoscenti. Perché so che le persone non capiscono, mi criticano, hanno paura. Stai con un uomo arabo? Un mediorientale? Orrore. Chissà come sarà geloso. Questi sono i commenti più leggeri. Qualcuno mi ha anche chiesto se lui mi obbliga a indossare il burqa. Ignoranti: non ho mica detto che è un afgano Taliban. Sorrido di nuovo. Sapessero quanto è bello fare l’amore con lui, le sue mani premute sulla mia bocca, la sua forza senza violenza, io nuda tra le sue braccia.
Ieri ho rivisto Gloria, la mia amica più cara. Ricordate il suo fidanzamento in casa con Omar qualche mese fa? Ricordate quando ha accettato di essere la sua seconda moglie? L’ho accompagnata in aeroporto. Era sola. Sola e pronta alla prova del nove, prima della nuova vita.
Omar è partito per Natale. Ha approfittato delle ferie qui per raggiungere la sua prima famiglia e la prima moglie, Asma. Gloria ha deciso di rinviare a dopo Capodanno l’esperienza fatidica: vivere per quindici giorni sotto lo stesso tetto con il suo prossimo marito e la prima moglie di lui.
Gloria è tranquilla, quasi eccitata. Ecco, questa è l’unica cosa che non riesco a capire e che credo non riuscirei ad accettare. Questo concubinato che molte donne islamiche danno per assodato, per me è impensabile. Eppure Gloria ha cercato di spiegarmi in tutti i modi perché lei ce la sta facendo, perché lei accetta, perché ha detto sì.
“Dipende dall’intelligenza dell’uomo e dalla prudenza delle donne coinvolte”, mi dice. Ma anche dal grado di simpatia e di solidarietà che scatta tra queste donne. I miei amici musulmani mi confermano che è un caso rarissimo, soprattutto se le due donne accettano davvero di dividere lo stesso uomo. Finora, Asma e Gloria l’hanno fatto a parole, da lontano. Adesso viene il bello.
Prima dell’invito ufficiale, partito da Omar e ribadito da Asma (“Perché non vieni a stare da noi 15 giorni così la prossima volta starai due mesi?”), Gloria si era fatta parecchie domande, ma le risposte stavano tutte lì. Stavano in quelle parole registrate in chat, in quei detti-nondetti e accettati da parte della co-moglie. Cose così: nessuna amica di mio marito mi è cara quanto te; tu sei l’unica che non gareggia con me; sento che mi rispetti, che non sei in competizione; se tu vuoi dividere la tua vita anche con me, sei la benvenuta; ti voglio bene, sorella.
E lei, Gloria, in questo strano vortice di affetti senza esclusivo possesso, di mutuo aiuto, stava lì davanti allo schermo a valutare ogni cosa; a dirsi: questa donna sta accettando la situazione perché sa che in me può trovare un aiuto, un’amica, una sorella, forse uno spiraglio e un sollievo rispetto a una vita schiacciata sull’attesa del marito e sulla maternità troppo precoce. Amare lui – se ne rendeva conto adesso – significava amare lei più di lui.
Prima di partire, nell’ultima conversazione su skype, Gloria aveva ceduto l’ultima arma, buttato giù l’ultima barriera. Ad Asma aveva detto sì. Sì, sorella, ti voglio bene; sì, non credevo di poterti amare così; sì, sei e sarai la benvenuta sempre.
“Per essere una buona seconda moglie – mi ha detto ieri al ceck-in, mentre si ritoccava il trucco – il sì non va detto al marito per primo; ma piuttosto alla prima moglie”. Questo Gloria l’ha già imparato (e si vede), ancora prima del decollo.
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