DoveStiamoAndando? A vivere con i gatti di Istanbul

Tobili, celebre gatto ad Istanbul, Turchia. Foto presa da Facebook

Istanbul – Qui si dibattono, incontrano e scontrano ideali che da millenni muovono la Storia del mondo, segnano la fisionomia degli Stati e condizionano la vita dei singoli. Culture, memoria e genti si affiancano, intrecciano, sovrappongono e ripropongono in un ininterrotto fluire di stimoli emotivi, estetici, intellettuali. Garante del suo proprio mito, il Bosforo scontorna ed esalta, separa Oriente e Occidente e li unisce per l’eternità. Lungo belle strade bianche, i cimiteri ottomani accolgono il tempo del mondo – inaspettati e rassicuranti, magici e maestosi.

Poi spunta lui, o lei, anzi ne spuntano parecchi, e gli umani tutti lì a preoccuparsi che stiano bene. Da sempre liberi, protetti e accuditi, i gatti sono il filo conduttore e una delle componenti essenziali dell’identità di Istanbul, che è plurima e fortissima (fortissima in quanto plurima, chiaro). Spuntano da sotto i tavoli di caffè e ristoranti, nelle stazioni della metropolitana, tra le bancarelle dei mercati e in quell’universo che è il Grande Bazar, all’interno degli edifici e sulle terrazze panoramiche. Sonnecchiano dentro i negozi o appena fuori, magari su scalini dove ciotole di acqua e di crocchette non mancano mai; si distendono al sole sui muretti; sbirciano da finestre e cornicioni; nei negozi di abbigliamento si infilano tra i vestiti e in quelli di souvenir contribuiscono in misura determinante a incrementare gli acquisti. Sul ponte di Galata mangiano pesce direttamente dalle mani dei pescatori; a Santa Sofia dormono al fresco delle navate (uno passeggiò tranquillo davanti all’ex presidente degli Stati Uniti, Obama, durante una visita ufficiale); nel palazzo di Topkapi appena varchi il portone eccoli lì nel giardino.

A Kadikoy, quartiere sulla costa asiatica, una statua in bronzo pagata con una colletta dei residenti, ricorda Tombili – gatto celebre non soltanto fra i turisti per la posizione insolita con cui “si appoggiava” al marciapiede – sorge nel punto dove era solito sostare. Dal 2016 intanto  circola attraverso il mondo il documentario Kedi – la città dei gatti, realizzato dalla regista Ceyda Torun la cui infanzia “senza i gatti sarebbe stata infinitamente più solitaria”, ricorda.

Soprattutto a lato di  grandi prati vedi frequenti “casette” per proteggerli dal freddo invernale, costruite con fondi raccolti nei quartieri intorno. Se per strada incontri una bestiola ferita o malata, puoi telefonare a una delle associazioni di volontari collegate al Comune; una persona addetta arriva con un furgoncino, si prende il micio e prima di portarselo per curarlo ti chiede dove ricollocarlo una volta guarito (nel posto in cui lo hai trovato? davanti a casa tua? altrove?). In quelle occasioni i maschi vengono castrati, le femmine sterilizzate. Tutti gli altri no, rimangono liberi di riprodursi; però sarà forse il caso di rivedere questa politica, perché la crescita è esponenziale.

A suo tempo divinizzati dagli Egizi, i gatti sono tradizionalmente amati dai musulmani soprattutto in ricordo dell’affetto di Maometto per la sua soriana, Muezza; un rapporto all’origine di racconti, leggende, riflessioni, fantasie. Si dice ad esempio che un giorno, nel deserto, Muezza salvò Maometto da un serpente e che, lui, per ringraziarla, regalò ai felini la facoltà di osservare contemporaneamente il mondo terreno e la dimensione ultraterrena. Da qui quel loro tipico fissare chissà cosa e chissà dove, immobili. Un’altra volta, mentre Maometto stava seduto con le braccia appoggiate a un tavolo, Muezza gli si acciambellò e addormentò su una manica della tunica; quando lui si alzò per andarsene, per non svegliarla tagliò il pezzo della stoffa dov’era sdraiata. Al suo ritorno la bestiola gli corse incontro e si inchinò per ringraziarlo; al che Maometto, commosso, decise di elargire alcuni doni a lei e a tutti i gatti: tre linee sul dorso dove la aveva accarezzata, la capacità di atterrare sempre sulle zampe cadendo da qualsiasi altezza, un posto in paradiso.

Una nota a parte meritano i cani randagi. A Istanbul vivono una sorta di indifferenza rispettosa, agli angoli di alcune strade vedi anche ciotole di acqua e di cibo per loro (le riconosci perché più grosse); nessuno li coccola e nessuno li maltratta. Un segno all’orecchio contraddistingue i castrati e le sterilizzate, che in occasione dell’intervento ricevono anche microchip e vaccino per l’antirabbica: sono la maggioranza, campagne sono in corso per metterli in sicurezza tutti.

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1 Comment

  • AnnaJS

    Interessante questa narrazione. Io ho poca esperienza personale sui gatti. La prima portata in casa nostra dalle mie bimbe si chiamava Melissa e faceva tanti dispetti a mio marito che, decisamente, non aveva simpatia per lei e glielo dimostrava. Un giorno mi telefonò dall’ufficio dicendomi: “O lei o io”. Aprendo la sua borsa, (mio marito era Laureato in Chimica Industriale) era stato assalito da un odore acre che non apparteneva ai suoi prodotti chimici……
    Il secondo si chiamava Cagliostro, era nero, bellissimo, intelligente e affettuoso. Bastava fargli una carezza o un grattino e lui cominciava a fare le fuse che sembrava un motorino. Quando, vecchissimo, è morto, gli è stata riservata una cerimonia molto partecipata e scelto un luogo ameno, solatio dove potesse riposare in buona compagnia. Il terzo ed ultimo adottato in famiglia era scorbutico ed anche un po’ isterico. Pensando di colmargli la solitudine in assenza di mio figlio, gli ho fatto una delicata carezza sulla testolina, ma ci ho rimediato una azzannata che mi ha costretta a fare antitetanica e cure con il cortisone. L’ultima, spero, esperienza l’ho avuta nella mia casa in campagna dove una gattina sparuta, bianca, era inavvertitamente rimasta chiusa per qualche giorno. Non ve la posso descrivere, perchè potrebbe veramente turbarvi tanto. Ho dovuto passare una settimana a bonificare, ma lei se l’è cavata!

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