La Flottila che non aiuta

Una fitta rete d’ostacoli marittimi e aerei blocca l’arrivo in Israele della Freedom Flotilla, lasciando Gaza e gli attivisti pro-Palestina con l’amaro in bocca.
Mentre Israele e la flotilla giocano a guardie-e-ladri tra mari e cieli, le semplici mosse per sbloccare Gaza si allontanano ulteriormente, mettendo in luce una giostra mediatica e politica che, invece di aiutare, ostacola il necessario cambiamento.

Secondo Sari Bashi, direttore esecutivo di Gisha “I residenti di Gaza non hanno bisogno di generi di prima necessità, ma di esportare e di viaggiare”.

Dal 1967, con l’occupazione della West Bank e della Striscia di Gaza, l’esercito israeliano ha sviluppato un complesso sistema di regole e sanzioni per controllare il movimento dei 3,4 milioni di palestinesi che vi abitano. Le restrizioni violano il fondamentale diritto dei palestinesi alla libertà di movimento.

Gisha, il cui nome significa sia “accesso” sia “approccio”, è un’organizzazione israeliana no-profit, gestita da accademici legali e professionisti – donne e uomini, arabi ed ebrei – il cui scopo è quello di proteggere la libertà di movimento dei palestinesi, specialmente dei residenti di Gaza, usando assistenza legale e sostegno pubblico.

Gisha avverte che il focus sugli aiuti umanitari, sia da parte degli organizzatori della flottiglia sia da quella del governo israeliano, è fuorviante. A Gaza non c’è carenza di cibo, ma la ripresa economica è bloccata da restrizioni che vietano i movimenti di merci e persone.

Secondo la Federazione palestinese delle industrie, almeno l’83% delle fabbriche di Gaza sono chiuse o lavorano ad una capacità del 50% o addirittura meno. Il settore manifatturiero non può risalire sotto l’attuale divieto d’esportazione, soprattutto se non si permette ad un solo camion di lasciare Gaza.

E’ esasperante – secondo Bashi – che i residenti di Gaza siano stati volutamente ridotti a destinatari di aiuti umanitari: “Il problema di Gaza non è una mancanza di cibo – afferma – ma piuttosto una violazione del diritto a produrre e del diritto a un lavoro dignitoso”. E’ necessario trovare una soluzione che rispetti i diritti dei residenti di Gaza alla libertà di movimento e di vita, ma, allo stesso tempo, protegga la legittima sicurezza di Israele.

Israele deve revocare il divieto di materiali da costruzione, l’uscita delle merci e dei viaggi tra Gaza e la Cisgiordania.

“Il mercato dei miei prodotti in Cisgiordania è bloccato a causa delle restrizioni sulle esportazioni, e il consumo locale è limitato a causa della forte disoccupazione“, spiega Mohammed Tilbani, proprietario di una fabbrica di dolciumi a Gaza. “Una fabbrica che non può vendere i suoi prodotti al di fuori di Gaza è una fabbrica che non può prosperare” conclude l’imprenditore.

Solo un dialogo tra le parti in conflitto – e non l’ennesima bufera mediatica – può portare il rispetto dei diritti reciproci. Da un lato Hamas deve accettare l’esistenza d’Israele, e dall’altro Israele deve revocare il blocco di Gaza, rispettando il diritto dei suoi abitanti a muoversi in libertà e prosperare.

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3 Comments

  • Roberta

    E’ assurdo che la dignita’ umana debba sempre e costantemente essere calpestata…purtroppo continua a stupirmi la necessita’ di dover tenere sottocontrollo paesi, uomini, economia, etc a vantaggio di qualcun altro.
    Chissà che mondo si ritroveranno a vivere le prossime generazioni, siamo troppo pochi a guardare in faccia la realtà dei fatti e siamo troppo pochi a considerare il giusto per poter cambiare il mondo…l unita’ fa la forza, se solo portassimo avanti le giuste cause senza combattere con armi, se solo riuscissimo a far sentire le nostre voci e non gli spari, le botte, le guerriglie…tutto cambierebbe…ma una domanda e’ lecita…come si fa?
    Siamo tenaci, ma troppo pochi…

  • Beatrice Dina

    Grazie Gilda! Peccato che la Freedom Flotilla Italia non abbia voluto rispondere a nessuna delle mie domande sulla situazione. Avere il loro punto di vista avrebbe reso l’articolo ancora più interessante, ma deduco che vivendo quaggiù molte strade si chiudano. Mi chiedo come potrà mai arrivare la pace qui, se noi stessi che ci sentiamo “pacifisti” non siamo in grado di aprire la porta al diverso, a chi pensa differentemente da noi, a chi è dall’altra parte…

  • Gilda

    Come al solito un bell’articolo informativo che invece di rigirare le informazioni inutili offre uno sguardo da un altro e più sensato punto di vista. Complimenti!

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