Press, digital o blog? Una domanda a cui è sempre più difficile dare una risposta. Secondo il New York Times nel 2043 non ci sarà più carta stampata. Manca relativamente poco alla scadenza e molte testate, in particolar modo americane, iniziano a dirigere gli investimenti su edizioni digitali.
Il britannico The Guardian, per esempio, utilizza il linguaggio della rete, ha un rapporto diretto con i lettori e già costruisce le notizie sui tablet.
La crisi della carta è associata ad una crisi di prodotto. Le abitudini dei lettori stanno cambiando e anche il modo di fare informazione: il giornalista si fa guidare dal lettore e si riappropria dello strumento migliore che hanno blog e social network – sharing comments and ideas – dando ad esso la giusta autorevolezza. Nasce così il giornalismo partecipativo. Anche in Italia qualche cosa si sta muovendo.
Il 2010 si può considerare l’anno della svolta. L’informazione, infatti, fino ad allora era appaltata ai grandi gruppi editoriali della carta e la rete, intesa come “altra prospettiva”, aveva perlopiù il ruolo di supplemento. Due anni fa ecco invece le prime testate autonome: Il Post, Lettera43 e Linkiesta, tre giovani realtà italiane svincolate da media tradizionali, tre quotidiani con un nuovo linguaggio e un modo diverso di comunicare.
Il Post, diretto da Luca Sofri, è un sito di informazione lanciato nell’aprile del 2010 e finanziato per 1milione di euro da investitori noti. Secondo i dati Audiweb riferiti al febbraio del 2012, la testata conta 37mila utenti unici al giorno. La redazione è piccola e copre notizie, opinioni e dialogo sui social media.
Lettera43 è nata invece nell’ottobre del 2010. Diretta da Paolo Madron, ex inviato de Il Sole 24 Ore ed ex direttore di Panorama Economy, ha ricevuto un investimento iniziale di 5milioni di euro, sufficiente a mettere in piedi una redazione composta da una ventina di giornalisti e a garantire una totale autonomia per oltre tre anni. Nel febbraio del 2012 raccoglieva 48mila utenti unici (dati Audiweb).
Linkiesta è il più giovane dei progetti di informazione online italiani. Lanciato nel gennaio del 2011 e diretto da Jacopo Tondelli è passato da quasi 4mila utenti unicial giorno a 30/34mila, con 500 iscritti al servizio abbonamenti (100 euro all’anno per i soci ordinari e 500 per i sostenitori).
Linkiesta vuole dimostrare che l’informazione su Internet non è solo di serie B: “Ci rivolgiamo a chi condivide valori di libertà e autodeterminazione – spiega Tondelli. A chi ritiene che l’informazione mainstream non sia sufficiente”. Il team è composto da 12 giornalisti. “Chi ha una notizia, la può scrivere”, afferma con una punta d’orgoglio Tondelli. Ampia libertà e autonomia insomma, ma anche massima professionalità. Ogni giorno vengono pubblicati da 20 a 30 articoli. Gli stipendi si aggirano intorno al minimo di un redattore ordinario assunto a tempo indeterminato; i collaboratori percepiscono da 30 a 150 euro a pezzo. Un capitale iniziale di 1milione e 500mila euro e 80 soci, oggi con una partecipazione massima del 3 per cento. Un business plan creato da professionisti delle start up ed esperti di Internet. Per farsi conoscere hanno usato con astuzia principalmente la rete. Poco denaro è stato invece investito in promozione. “Oggi viviamo di abbonamenti e pubblicità: da 3.400 euro al mese, appena hanno iniziato, fino ad arrivare a prima dell’estate a picchi di 14 o 16mila euro. Jacopo Tondelli spiega: “La libertà è il nostro vantaggio: siamo tanti soci senza un padrone”. E dove vuole arrivare Linkiesta? “Diventare un’impresa economica profittevole, un luogo d’incontro e confronto per l’Italia che verrà”, conclude il direttore.
Ma quali sono i punti critici di queste giovani start up e quale la chiave del loro successo?
Per le attività giornalistiche indipendenti nate sul web sopravvivere, però, è già un passo avanti. E non solo in Italia. A confermarlo è Survival is Success. Journalistic Online Start-ups in Western Europe uno studio del Reuters Institute for the Study of Journalism dell’Università di Oxford firmato dal giornalista italiano Nicola Bruno e dal ricercatore danese Rasmus Keis Nielsen.
La ricerca esamina la sostenibilità finanziaria delle nove più importanti start up giornalistiche che si sono sviluppate negli ultimi anni in Germania, Francia e Italia. Solo la francese Mediapart e la tedesca Perlentaucher raggiungono il pareggio di bilancio. Lo studio rivela infatti un punto critico: la pubblicità online da sola non è sufficiente a garantire la sopravvivenza della testata. Il motore di ricerca Google e il social network Facebook dominano il mercato. La concorrenza produce un conflitto al ribasso e gli spazi pubblicitari vengono venduti a prezzi ridicoli. La chiave del successo è diversificare le entrate, con strategie, intuizioni e servizi aggiuntivi per i lettori oppure puntare a una nicchia o legarsi ad un gruppo editoriale consolidato.
Mentre in Francia e Germania Internet attira il 20% degli investimenti pubblicitari, in Italia si arriva solo al 6,5%.
Delle tre testate italiane analizzate da Nicola Bruno e Rasmus Keis Nielsen Il Post è la realtà che più si avvicina a un modello di sostenibilità; Lettera43 sta iniziando a puntare sulla diversificazione, con i neonati siti EconomiaWeb.it e ModaInforma.it.
Per Linkiesta, invece, bisogna che arrivi ad aumentare significativamente il traffico. E Tondelli e i suoi hanno già sul piatto qualche nuova strategia. Ma il direttore ancora non vuole rivelare nulla.