Il dialetto algerino è in continua evoluzione. Regolarmente, nuovi termini vanno ad arricchire il dizionario della strada. Negli ultimi anni, un vocabolario religioso, maggiormente salafita, marchia sempre più il linguaggio quotidiano. A scuola o in luoghi pubblici, con gli amici, o tra membri della stessa famiglia, in rete o in tv, il nuovo discorso sociale, che si basa su un codice di lingua non algerino, rilancia una serie di dibattiti sulle scelte teologiche della Repubblica, annunciando forse l’inizio della fine dell’utopia laica.
Il modello wahhabita (riferendosi al predicatore fondamentalista saudita Mohammed Abdelwahab Ben: 1703-1792) ancora aleggia tra i giovani e meno giovani. Si inscrive nella corrente salafita, tradizionalista, e riproduce i discorsi dei suoi principali saggi (come Mohammed Al Albani: 1914-1999).
“Une petite barbe, mal rasée, de préférence colorée avec un peu du henné, une courte kamiss en blanc, ou en une autre couleur, qui sent du musk (de mauvaise qualité), avec un siwak (bâton d’arak) au coin de la bouche, un chapelet à la main droite et deux lèvres, qui chuchotent, sans cesse, des prières et des petites sourates. Mais aussi avec un niveau scolaire généralement bas, et de haine expressive à l’égard des autres réglions.”
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