Il Festival Sete Sóis Sete Luas quest’anno compie 21 anni e non si ferma: il suo viaggio culturale tra epoche, stili e Continenti continua, raggiungendo orizzonti sempre più lontani del mondo mediterraneo e lusofono.
A Pontedera si sono appena conclusi cinque concerti in anteprima nazionale, cinque serate che hanno condotto il pubblico lungo un pellegrinaggio musicale, e non solo: dalla Spagna al Portogallo, a Capo Verde, a Istria. Un evento che ha coinvolto l’intero universo culturale del Mediterraneo. Si muovono così gli artisti e il pubblico. Anche in questa edizione, il Festival si è posto l’obiettivo di integrare e intrecciare tra loro i destini culturali di Paesi vicini, ma lontani. Musica e arte, linguaggi liberi, trasversali e universali, diventano occasione di dialogo.
Abbiamo incontrato Marco Abbondanza, l’ideatore e direttore del Sete Sóis Sete Luas e gli abbiamo chiesto di raccontarci del suo progetto.
E’ nato nel 1993 e trae la sua origine da un gruppo teatrale di Pontedera, che nel realizzare una residenza artistica nella Alentejo portoghese (regione del Portogallo), ha avuto modo di conoscerne la ricca cultura. Durante la nostra permanenza, abbiamo conosciuto Josè Saramago, che è stato il primo ad aderire al nostro progetto. Da lì è nata, appunto, l’idea di realizzare un Festival. Inizialmente lo scambio culturale era solo tra Italia e Portogallo. Poi il progetto è stato appoggiato dalla Comunità europea con il programma Caleidoscopio ed è cresciuto tantissimo negli anni. Oggi siamo a 12 Paesi partecipanti e a oltre 30 città dove il Festival prende vita. La programmazione degli eventi prevede esibizioni di soli artisti dell’area lusofona e mediterranea, anche perché siamo stanchi del dominio della cultura del mondo anglosassone, e questo riguarda sia il mondo della musica, sia quello artistico in generale.
Avete mai incontrato difficoltà nei Paesi visitati durante il Festival?
Organizziamo il Festival direttamente nelle città, dove poi si realizza. Le difficoltà sono all’ordine del giorno. Il ricordo più fresco è quello di un evento in Israele, nella città di Haifa: con la Fondazione Anna Lindh abbiamo portato avanti un progetto fatto di dialogo interculturale. Era in programmazione 15 giorni dopo l’attacco alla striscia di Gaza, lo scorso dicembre, e gli artisti e i musicisti che avevamo invitato per realizzare questa nuova produzione musicale hanno avuto molte perplessità, anche perché tanti di loro erano arabi e provenienti dalla Tunisia, dall’Algeria e dal Marocco. C’era molta preoccupazione. Haifa, però, è una città particolare e si caratterizza per un lavoro di eccellenza nell’integrazione degli arabi e quindi siamo riusciti a continuare e a realizzare la nostra residenza artistica. La grossa difficoltà degli ultimi anni è stata la crisi economica, che ha investito tutta l’area del Mediterraneo e naturalmente anche noi ne abbiamo risentito. Tuttavia, esistendo ormai da molti anni, abbiamo sviluppato degli anticorpi e adottato delle misure (o ripieghi) per superare anche questa.
I vostri incontri si svolgono anche in luoghi che in questo momento sono in pieno fermento culturale e politico. Penso ad esempio al Nord Africa e ad una Rivoluzione ambigua, dove cause, attori e obiettivi sono ancora confusi. Lei, quando era lì, come ha affrontato e vissuto questa Rivoluzione? Quale opinione si è fatto?
La situazione non è semplice, non si può dare una lettura univoca. E’ ancora tutto in pieno movimento. Esistono sicuramente due correnti: una che tende ad aprirsi e un’altra che, invece, tende a chiudersi. Un tentativo di aprire al nuovo c’è. Lo abbiamo riscontrato anche noi con la nostra esperienza in Marocco e in Tunisia. Ma essendo ancora tutto in evoluzione, è difficile capire quale sarà il risultato.
Un esempio concreto di apertura?
Il Festival a Tangeri: abbiamo trovato grande tolleranza e disponibilità, anche verso artisti provenienti da altre aree geografiche, magari non in buoni rapporti con il Paese ospitante. In Tunisia andremo invece i primi di settembre. Comunque, per l’esperienza sin ora accumulata, abbiamo raccolto solo segnali ottimistici.
Quali sono i progetti futuri di Sete Sóis Sete Luas?
Da Pontedera il Festival si sposterà in altre sette città del Mediterraneo, in Slovenia, in Croazia e poi in due città portoghesi. Torneremo in Italia, prima in Sicilia e poi a Roma, nell’ambito della “estate romana”. A settembre, come dicevo prima, saremo a Tunisi, dove realizzeremo un nuovo progetto che è quello della “Med.arab orchestra”, che coinvolge artisti tunisini, algerini e portoghesi. Il viaggio quindi continua…
Info: per saperne di più sui prossimi eventi, visitate il sito o la pagina Facebook “Sete Sóis Sete Luas”.