Cinema e immigrazione: le pellicole israeliane sbarcano in Italia

Si è conclusa il 23 giugno scorso la rassegna dedicata al “Nuovo Cinema israeliano”, presentata allo Spazio Oberdan di Milano in concomitanza con la manifestazione Unexped Israel. La diversità e l’originalità sono i filoni scelti quest’anno. Ricorre spesso il tema dell‘immigrazione. E non è certo un caso, visto che in Israele un quinto della popolazione è costituito da immigrati arrivati negli anni ’90 dall’ex Unione Sovietica.

LA MIA VERITÀ – La filmografia israeliana fa certamente riflettere sulle problematiche e le difficoltà che il Paese ancora adesso affronta quotidianamente.

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Persone che dimenticano le proprie origini e vengono assorbite in un nuovo contesto sociale, altre che – nonostante il forte cambiamento verso il quale si sono esposte – non si allontanano dalle proprie tradizioni e continuano a parlare la lingua madre.

Tra i migranti dell’ex Unione Sovietica c’è anche la regista Dana Goren, che a Milano ha presentato Diplomat: la storia di un hotel a 5 stelle di Gerusalemme che, da oltre 20 anni, ospita 600 immigrati. Un film sulla difficoltà di integrazione, dove i protagonisti parlano in russo, escono raramente dall’albergo e frequentano solo i membri della loro comunità, con i quali condividono una malinconica nostalgia. Ma amicizia e amore possono sconfiggere quella nostalgia. In Ida’s Dance Club di Dalit Kimor un gruppo di ultrasettantenni – per lo più immigrati – frequentano a Tel Aviv la sala da ballo di Ida (una ex cantante) e dimenticano il passato.

Il gap culturale tra i giovani immigrati e la società viene rappresentato dalle vicende accadute nel 1997 in un carcere militare, raccontate in The Loners dal regista e direttore della Sam Spiegel Film and Television School Renen Schor: due detenuti russi si barricano per 36 ore in un’ala del penitenziario minacciando di colpire gli ostaggi. I protagonisti sono due “soldati solitari”: uomini arruolati nell’esercito israeliano, allontanati dalle proprie famiglie e privati di una cultura sulla quale aggrapparsi.

La sfera più intima della vita in Israele viene invece svelata dai cortometraggi realizzati dagli studenti della Sam Spiegel School di Gerusalemme e dai telefilm e serie televisive locali, che raccontano una realtà di tradizioni e consuetudini. Tra questi A Touch Away di Ronit Weiss Berkovic e Roni Ninio (vincitori all’Israeli Academy), la storia di due famiglie israeliane – una appena immigrata dalla Russia e l’altra ebraica – che si trasferiscono contemporaneamente in un quartiere ortodosso della città di Bnei-Brak, nei pressi di Tel Aviv. Con il più alto rating nella storia della televisione israeliana, la serie ha attirato l’attenzione delle case produttrici americane, come HBO, che ne ha acquistato i diritti. E così, anche in America – terra di grandi migrazioni – il pubblico sarà invitato a conoscere storie oltre confine, sicuramente un po’ rivisitate.

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