Pippo Delbono, regista teatrale già alla guida di Asti Teatro, è l’autore di “Vangelo”, film girato quasi per intero nel centro rifugiati di Villa Quaglina a Torrazzo.
Protagonisti dell’opera cinematografica, oltre allo stesso Delbono, sono profughi fuggiti da conflitti e disperazione, che hanno raccontato le loro storie. Tra questi Safi Zakria e Nosa Ugiagbe, affiancati da Petra Magoni, Ilaria Fantin, Bobò, lo storico collaboratore di Delbono, e Pepe Robledo.
La trama della pellicola si snoda in tante storie, dove, dice l’autore, “si può rintracciare il legame con il messaggio cristiano: vi tortureranno, vi perseguiteranno, vi trafiggeranno. Sono tutti Cristi velati con cui celebro una messa laica”. Abbiamo incontrato il regista in occasione della presentazione del film al Festival di Venezia.
Come nasce “Vangelo”?
Ci sono delle coincidenze: io seguo il mio istinto e il mio istinto mi ha portato a questo viaggio, perché Vangelo è la storia di un viaggio; il viaggio di un uomo senza una meta, che vaga nei centri di migranti, per riempire un profondo vuoto di umanità, per cercare qualcosa di vivo. Ho incontrato persone che mostrano i segni di grandi ferite, di grandi lotte, ma anche di una gran voglia di vivere: guerrieri forti come il marmo, fragili come la porcellana. Quell’uomo sono io con le mie ferite, le mie lotte, la mia voglia di vivere. Ero reduce di un periodo non proprio positivo per un problema agli occhi.
Il film “Vangelo”, e il Vangelo di un non credente?
E’ un omaggio a una fervente credente: mia madre. Fu lei ad esortarmi a fare uno spettacolo sul Vangelo. Io sono buddista, non credo in Dio, questo Dio dei miracoli, questo Dio che cammina sull’acqua. Non si può camminare sull’acqua. Si può solo sprofondare nell’acqua, come sprofondano tutte queste persone che stanno arrivando qua e che cadono, come dei Cristi, in mezzo al mare. Ho incontrato delle persone che portavano segni di grandi ferite, di grandi lotte, ma anche segni di grande vita. Ho trovato qualche cosa in loro che credo c’entri con la verità, la bellezza, l’arte, la fede. E forse con quel Vangelo in cui tanto credeva mia madre.
Il film è stato girato nel campo profughi di Asti. Queste persone hanno storie molto pesanti alle spalle. Come sei riuscito a conquistarne la fiducia?
Ho vissuto lì a lungo; ho condiviso con queste persone la veglia e il sonno. All’inizio non pensavo di girare un film, avevo bisogno di stare lì e basta. Loro dapprima mi guardavano con sospetto. Mi lasciavo scrutare e, a poco a poco, ho conquistato la loro fiducia. E lì ho trovato un Cristo nigeriano per raccontare il mio Vangelo, dove però Cristo non cammina sull’acqua. E’ lì che sprofondano tutti quei Cristi che ripeschiamo, in fondo al mare. La mia è un’opera poetica sul Vangelo. A me non interessava fare un film sulla condizione dei rifugiati. Le persone che hanno recitato sono dei veri e propri interpreti, sono stati degli attori straordinari. Non è un film politicamente corretto; Vangelo un film umano, che fa vedere la realtà, la straordinaria bellezza artistica di queste persone. Questo è un po’ il filo conduttore dei miei lavori: trovare l’essenza, le capacità e l’unicità delle persone che lavorano con me. Io non cerco in loro la persona da aiutare e da capire, ma quello che noi non abbiamo più.
A parlare dell’esperienza vissuta durante la realizzazione del film Vangelo è una delle protagoniste del film, Petra Magoni, un’artista che ama le sfide e le sperimentazioni musicali.
“Ho conosciuto Pippo Delbono anni fa sul set di un film diretto da Luigi Cinque – ci racconta Petra.”La sintonia è stata immediata – continua – abbiamo già collaborato in uno spettacolo su Edipo che ha debuttato al Teatro Olimpico di Vicenza circa tre anni fa. Insieme a noi c’era anche Ilaria Fantin”.
“Vangelo è un film molto “jazz” – spiega Magoni -, molto improvvisato e anche un modo di lavorare molto creativo. Eravamo al centro di Asti per un concerto e, la notte dopo la nostra esibizione, abbiamo girato in presa diretta, senza copione. L’esperienza vissuta nel centro è stata sicuramente felice, perché io amo incontrare “l’altro”. Ero molto curiosa di vedere con i miei occhi un centro profughi. Se ne sente sempre parlare, ma fin quando non lo vivi… Sono d’accordo quando Pippo Delbono dice che non si può parlare dei “profughi” come un’entità astratta. Sono persone e come tali hanno le loro peculiarità e diversità e, soprattutto qui da noi, cercano un futuro. Mi ha commosso un uomo che con dei pezzi di legno e delle corde si era costruito un “Oud”, uno strumento tipico arabo (che Ilaria Fantin aveva suonato nell’occasione), perché nel suo Paese era un musicista.
Petra Magoni è contenta di aver contribuito in qualche modo a dar voce a questi profughi. “Credo che le parole del Vangelo dette da queste persone abbiano ritrovato forza. Mi viene in mente, ad esempio, la frase ‘beati gli ultimi, che saranno i primi’ o anche ‘avevo fame e mi avete dato da mangiare, ero assetato e mi avete dato da bere…’. Sono cose che ormai noi diamo per scontate, ma che non lo sono affatto per loro, che arrivano da esperienze pesantissime.