Hebron è la seconda città più antica della Palestina dopo Gerico. Oggi fa parte della Cisgiordania (West Bank) ed è popolata da oltre 200mila palestinesi e 600 coloni israeliani protetti dall’esercito che ha assediato la città. E’ qui che, nel febbraio di 25 anni fa, un medico israeliano di nome Baruch Goldstein ha sparato nella moschea di Abramo (Grotta dei Patriarchi per gli ebrei) contro i fedeli palestinesi in preghiera, uccidendone 29 e ferendone 300. Da allora è stata creata la missione “Temporary International Presence in Hebron” (Tiph), che coinvolge circa sessanta osservatori provenienti da cinque Paesi diversi (Norvegia, Svezia, Italia, Svizzera e Turchia). Il compito della Tiph è quello “monitorare”, senza intervenire, sulle violenze commesse dai coloni o dai palestinesi in una città ad alta tensione, divisa dal 1997 in due settori: H1 sotto il controllo dell’autorità nazionale palestinese, e H2 sotto l’autorità dell’esercito israeliano. La missione viene riconfermata ogni sei mesi.
A fine gennaio di quest’anno, il Primo ministro israeliano, Benjamin Netanyahu, ha deciso di non rinnovare il mandato degli osservatori internazionali della Tiph, sostenendo che tale missione agiva contro Tel Aviv.
Una mossa azzardata che inquieta la comunità internazionale. Ma anche una decisione strategia di un premier in cerca di consensi delle fasce più estreme della popolazione prima delle elezioni del prossimo 9 aprile.
Il 7 febbraio, Washington si schiera dalla parte di Israele, bloccando la bozza di una risoluzione per il Consiglio di Sicurezza dell’Onu, proposta da Kuwait e Indonesia, che criticava la decisione di Netanyahu. Lo stesso giorno, un attivista italiano dell’International Solidarity Movement (Ism) e il suo collega americano, sono stati arrestati dalla polizia israeliana mentre monitoravano gli studenti di una scuola elementare palestinese.