Il Mondo Arabo, il Medio Oriente, l’Asia e l’Africa in fiamme nei primi due decenni del nuovo Millennio fanno parte della grande Storia, ma anche delle piccole storie fatte di ricordi personali, dove vicende e aneddoti contribuiscono a dare una visione più viva – e nient’affatto convenzionale – di tanti avvenimenti che hanno mutato i lineamenti della geopolitica mondiale. Si tratta di retroscena che tutt’ora tormentano la pace mondiale e le cui conseguenze sono all’ordine del giorno.
È questo che troverete nel libro Particolari sul senso del Presente. Antologia e racconti inediti dell’Ambasciatore Claudio Pacifico (edito da Scriptamanent). Abbiamo incontrato l’autore per qualche anticipazione.
Come è nata l’idea di questo libro?
Non ho pianificato l’uscita di questo libro, anzi pensavo che non avrei mai scritto sul mio mestiere.
Sono ricordi che ho cercato di scrivere in modo molto personale; i diplomatici scrivono continuamente. Sono appunti che ho preso durante gli anni della mia carriera. Adesso li ho sviluppati, perché non ho più il vincolo di riservatezza. A questo va aggiunto la forzata immobilità della pandemia. Scrivere qualche cosa dopo, sulla base di note, ha senso se viene fatto sotto forma di brevi ricordi o avvenimenti, come ho cercato di fare io.
Quale tra i tanti ricordi che ha raccolto ha per lei un significato particolare?
I ricordi sono tanti, credo però che gli avvenimenti che mi hanno segnato di più sono stati quelli legati alla Rivoluzione iraniana. L’Iran è un Paese straordinario, di una bellezza travolgente; ma è anche importante per la sua storia e dal punto di vista culturale. Ma, forse, la vera ragione è che era la mia prima sede e tutte le sensazioni ed emozioni erano molto più vivide, compresa la violenza e la brutalità di questa Rivoluzione.
In Occidente non si capiva bene e tutta l’intellighenzia e il grande giornalismo europeo erano arrivati addirittura a inneggiare all’Ayatollah Khomeyni come “il nuovo” che avanza, non rendendosi conto che era un totale controsenso. Avendo vissuto come testimone diretto questi avvenimenti, giorno per giorno, io la ricordo come un’esperienza molto pesante e negativa. E proprio per questo fui trasferito (una specie di premio) e volai direttamente da Teheran a Washington. Mi sembrava di essere un alieno che improvvisamente ritornava da qualche pianeta terribile di mostri, e atterrava nella civiltà. Mi ha talmente impattato che mi aveva già allora portato a scrivere – eravamo nel 1979 – un libro sulla Rivoluzione iraniana. Siccome c’era un obbligo per il quale qualsiasi cosa scritta o fatta durante il servizio doveva essere autorizzata dal Ministero degli Esteri italiano, non lo pubblicai. Ho vissuto altri avvenimenti anche più pesanti e coinvolgenti, ma la Rivoluzione in Iran è quello rimasto più presente nei miei ricordi.
Qual è il Paese che le è rimasto nel cuore e perché?
Un po’ tutti. Quando penso a questo mio passato, penso che quasi tutti li ho viaggiati, passo passo, e li ho vissuti; non saprei darle un solo nome. L’antica Persia, l’Afghanistan di cui mi sono innamorato professionalmente e che trovo tra i più bei Paesi del mondo, tutti i Paesi del nord Africa. Sono tutti rimasti nel mio cuore, perché tutti affascinanti nella loro diversità.
Qual è il leader, tra i tanti conosciuti, che le ha lasciato un ricordo indelebile, in negativo o in positivo?
Riallacciandomi a quello detto anche prima, chi ha continuato nel tempo a farmi più impressione è stato Khomeyni. Un altro leader, bestia nera soprattutto per gli americani, era Hasan al-Turabi: grande politico e pensatore, laureato alla Sorbonne, aveva riportato il pensiero e l’organizzazione islamista in Sudan. Ho spesso fatto un parallelo tra questi due uomini. Una personalità difficile da trattare, soprattutto per un diplomatico italiano all’epoca, era Mu‘ammar Gheddafi. Altri grandi leader, che ancora oggi ricordo con rispetto, sono il presidente egiziano Hosni Mubarak e ancora Muhammad Anwar al Sadat, e il primo ministro Yitzhak Rabin che hanno pagato con la vita i loro sforzi e successi per riportare la pace in medio-oriente.
Che ruolo ha l’Europa nell’assetto geopolitico della regione MENA e che modello di politica estera dovrebbe portare avanti oggi?
Fondamentale. Io ho fatto questo mestiere credendo fermamente che questo fosse il ruolo principale dell’Italia e della politica estera del nostro Paese. La politica estera non è un hobby astratto per diplomatici; rappresenta gli interessi fondamentali economici e politici di un Paese. Chiunque sia vissuto in Medio Oriente, Africa del nord o Maghreb si accorge che il ruolo dell’Europa è fondamentale perché storicamente c’è un legame. Sarebbe bene che chi si occupa di queste cose sviluppasse la conoscenza del rapporto storico. Pensi alla storia della riva sud dell’Italia. Come ogni cosa, tutto ha inizio con gli antichi romani, Cesare e Cleopatra, ma continuano per tutta la storia. Si pensi all’interazione tra l’Italia delle potenze marinare e tutta la costa del Mediterraneo. Per queste ragioni, io penso, ed ho sempre creduto, sviluppando in questo senso la mia azione professionale, che il rapporto sia fondamentale. Una politica estera fatta bene promuove il sistema Paese, tutela i nostri interessi economici. L’Italia si dovrebbe fare elemento trainante dell’Europa. Oggigiorno, può giocare come ponte fra questi Paesi ed il mondo occidentale, compresi gli americani, che per ora rimangono la super potenza mondiale, anche se questo sembra in forte ridimensionamento.
Intravede una soluzione possibile per la questione palestinese e per il Medio Oriente?
Questo tipo di approccio non ci dà risposte credibili. La verità è che, soprattutto quando uno si fronteggia con questo genere di crisi – che sono crisi profonde e possono durare 100 o 500 anni – è difficile intravedere soluzioni immediate, specialmente da una visione che tenda minimamente ad un po’ di saggezza.
Se ci lasciamo ispirare dal buon senso, la via da percorrere è chiara a tutti.
Quali sono gli errori dell’Occidente?
Non sono sicuro che l’Europa e l’Occidente stiano percorrendo la strada giusta. Penso, ad esempio, a questa sempre più sanguinosa – come era prevedibile – guerra in Ucraina. In questo momento mi sembra che l’Occidente, e l’Europa in particolare, non abbiano altre soluzioni da proporre. Anzi, credo che abbiano abbandonato e non continuino ad usare il loro peso, la loro influenza per evitare che tutta la riva sud del Mediterraneo – in particolare Israele e Palestina – riscoppi.