Io scrivo, sono un testimone. Per il perché mi abbandono alle parole di Alessandro Lesa: “La scrittura è un antidoto. Ma gli antidoti presumono un veleno. E il veleno, una possibile morte. Scrivo, quindi, per essere immortale”.
FocusMéditerranée ha selezionato per voi alcuni estratti del libro di Luca Tincalla, “l’immortale” giornalista e scrittore italiano, testimone durante la rivolta esplosa in Turchia tra maggio e settembre del 2013. Il suo libro Testimone a Gezi Park è una raccolta di storie ordinarie di resistenza; è stato pubblicato in Italia solo in autoproduzione e noi ve lo vogliamo raccontare a puntate. Ecco dunque la prima …
La “rivoluzione della birra” come, comicamente, ha scritto qualche giornalista italiano… non è la nuova primavera araba. Perché di arabo i turchi hanno ben poco. Quasi niente. Se non quest’alone di mistero che li accomuna davanti all’ignoranza non solo degli italiani, ma degli Occidentali in genere. Già, chi sono i turchi? …
A questa domanda pochi tra gli inviati con cui ho avuto il dispiacere di parlare in questi giorni hanno saputo rispondere; troppo concentrati davanti alla “rivoluzione” in atto per accorgersi che l’obiettivo non dev’essere messo a fuoco solo nel presente (che è già passato) ma posto, almeno, nel grandangolo del passato recente [da “Se loro sradicano alberi nel presente, noi gli leggiamo le pagine per un futuro migliore“].
Con almeno tre coup d’etat ufficiali negli ultimi cinquant’anni, e un clima sempre più teso negli ultimi tempi, non era poi così difficile prevedere che la bomba della protesta sarebbe potuta esplodere. Forse il benessere economico era stato confuso con il benessere sociale. Forse gli accordi con il PKK erano stati obnubilati con una serena pace. Forse quello che è successo il mese scorso a Reyhanlı non era proprio una partita a calcetto tra turchi e siriani; in campo si gioca in undici contro undici, sul campo sono morte più di cinquanta persone. E forse l’intellighenzia contava sul fatto che il popolo turco, generalmente narcotizzato e abituato a ubbidire al sovrano di turno, si sarebbe lamentato sì, ma avrebbe tirato avanti un giorno in più; proprio come fa il ciuco con il carro.
E invece no.
Si è rotto l’incantesimo del fatalismo. E il popolo turco, come la bella addormentata, si è svegliato. Anche perché: chi vuole realizzare un sogno deve necessariamente svegliarsi.
Ma quale sogno?
Questa è una bella domanda perché nel momento di festa, ora, per questo che sembra un momento di cambiamento, io ancora non vedo soluzioni per un immediato futuro. Continua il braccio di ferro tra Erdoğan e i suoi antagonisti che spuntano dalla terra ogni giorno di più come funghi dopo un acquazzone. Si fanno chiamare e si chiamano çapulcu,“straccione”, poiché sostano giorno e notte nel parco di Gezi. È stato Erdoğan, beffardamente, a battezzarli così; ma più che a “straccione” il primo ministro si riferiva, piuttosto, all’accezione “vandalo” o “ladro”. Ironia del destino, il significato è stato presto rimpiazzato da un significante, e ora çapulcu è colui che si batte per i suoi diritti. E, ora, sono famosi i graffiti sui muri di Taksim dove a caratteri cubitali si legge: “Everyday I am chapulling!”
Ed è incredibile come questa protesta stia unendo i borghesi ai proletari, destra e (quel che rimane) sinistra, laici e religiosi. Non vi sorprenda sapere che, in questi giorni, ho visto partecipare donne velate alle manifestazioni di Taksim.
Ma se si capisce per cosa protestano, non si capisce che cosa vogliono i çapulcu; a Taksim come altrove, poiché non si manifesta solo a Istanbul ma in diverse città delle Turchia: Ankara, Bursa, Izmir, Antalya, Rize, per dare un’idea.
Ma un sogno per diventare realtà non necessita solo d’azione, ma di un pensiero.
Che cosa vuole il popolo turco? Cos’è tutto questo casino, questa caciara, questo rumore? Fino all’altro giorno, zitta zitta, la metà mugugnava a mezza bocca sui risultati dell’ultimo referendum; e ora? Che cosa ha permesso il miracolo di questa protesta?
E… come dite? Non sapete niente di questo referendum? Facciamo allora che apro una digressione nel prossimo capitolo; e una nel capitolo successivo sulla violenza sulle donne, tema collegato al referendum. Vedrete come.
Adesso. Mentre m’interrogo, il presidente del consiglio turco si è chiuso in eloquenti silenzi e preferisce far parlare i suoi portavoce. Uno di questi è Egemen Bağış ministro agli affari esteri, negoziatore capo della Turchia per l’entrata in Europa; tanti auguri di buon lavoro dopo gli ultimi eventi. Ogni volta che Erdoğan appare sui media, d’altronde, la borsa turca sprofonda verso il baratro del suo capitalismo à la page.
Sono state ignorate dal popolo le istruzioni per l’uso indicate dal Governo: non partecipare alle manifestazioni per rispettare l’ordine pubblico. E fidatevi; è raro che il popolo turco non le rispetti. Se le grandi multinazionali hanno deciso di investire in Turchia, almeno fino a una settimana fa, l’hanno fatto per la fedeltà che il turco ha verso il suo superiore. Quasi una devozione. Una cosa stupida vista con gli occhi di un italiano, lo so, ma qua chi è al vertice della società è rispettato; non si pensa che sia lì perché qualcuno ce l’ha messo – anche se a volte è vero.
È bello pensare che tutto questo sia nato per rispettare la vita di un albero. L’albero è un simbolo; ed è bello sapere che ci siamo – ci stiamo – battendo per la natura. Anche se, a dire il vero, “qualcuno” ha creduto (crede ancora?) che ci siamo mossi SOLO per proteggere due alberi. Non è così. Ci siamo mossi ANCHE per proteggerli. E nel farlo abbiamo protetto noi stessi.12
Forse, a questo punto, qualcuno si chiederà chi ha scritto questa storia. La risposta è: un nessuno. Troppi, al giorno d’oggi, pensano d’essere qualcuno. Diciamo che sono uno scrittore. Uno di quelli che difficilmente riuscirete a vedere nelle librerie; la colpa (se c’è) non è mia.
Io scrivo, sono un testimone.
Come quegli alberi…
A Taksim, da qualche giorno, è stata creata una biblioteca open-air. Se loro sradicano alberi nel presente, noi gli leggiamo le pagine per un futuro migliore.