
Mi sono imbattuta sui Social in una serie di foto di donne con gli occhi chiusi. Incuriosita, sono andata a leggere il testo che le accompagnava e mi è venuta subito in mente questa massima zen: “Non sempre gli occhi chiusi dormono, non sempre gli occhi aperti vedono”.

L’autrice della performance è Florencia Martinez, argentina di nascita, naturalizzata italiana. L’artista è nota per il suo impegno e sensibilità verso temi di attualità. Lo scorso anno, in piena pandemia, ha realizzato una mostra sugli abbracci: quelli che ci sono stati negati in un mondo in cui il contatto fisico si va sempre più perdendo.
“Abbracciare è una delle forme di resilienza che nasce prima della parola”, ci spiega. “Forse è il primo gesto che l’uomo, quando non sapeva il nome delle cose, adoperava per sostenere e contenere pianto paura e gioia”
Per quest’ultima performance, che nasce in questo drammatico periodo di guerra tra Russia e Ucraina, in cui si vede la disperazione di donne, madri, mogli, sorelle costrette a salutare i loro uomini senza sapere se mai li rivedranno, Florencia ha fotografato donne con gli occhi chiusi con accanto questo testo:
noi non l’avremmo fatto
ora chiudiamo gli occhi
togliamo il nostro sguardo
che non condividiamo più
noi non l’avremmo fatto
sempre bambini e donne
da nascondere nell’armadio
mentre la casa brucia
noi non l’avremmo fatto
Com’è nata l’idea?
“L’idea di questo progetto è nata un giorno che mi risuonava in testa una frase: “noi non l’avremmo mai fatto”. Mi martellava in testa, ma anche nella pancia, in riferimento alle immagini che poco prima avevo visto scorrere in televisione. Immagini terribili. Molti mi dicono che non bisogna guardare i telegiornali; altri affermano che certe cose che passano in TV sono costruite per impressionarci. Sicuramente hanno scatenato in me qualcosa”.
Cosa hai fatto dunque?
Il mio metodo di lavoro, se così si può chiamare, è un po’ questo: un’idea che comincia a pulsare dentro di me finché non decido di sedermi e darle una forma. Ho cominciato con lo scrivere questo piccolo testo che accompagna la foto. Ho cercato di rispondere a una domanda: Come è possibile che da sempre le donne e i bambini vengano chiusi in un armadio per essere “protetti” all’interno di una casa che brucia?
Questa storia della protezione maschile verso i più “fragili” è stantia, puzza, non è più così.
Parallelamente, un‘idea che da sempre ho – e che si potrebbe forse denominare protofemminista – è: come mai noi viviamo le conseguenze delle scelte fatte principalmente, se non solamente, da uomini?
Tutta la politica estera è il risultato di decisioni maschili. Sì, c’è stata qualche donna in politica, ma si contano sulle dita di una sola mano. Nei commenti alla pubblicazione delle mie foto qualcuno ha scritto che anche le donne sono cattive. È vero, la mia non è una verità ontologica, ma semplicemente una domanda.
Come mai continuiamo a subire le decisioni e dobbiamo vivere questa realtà che non è nostra, che non abbiamo voluto e che non vogliamo (e non solo a livello politico)? Questa performance, quindi, nasce per affermare con forza che noi donne non avremmo mai preso un carro armato per uccidere innocenti. Mi sembra anche, se ci pensate bene, molto “old style”: una cosa che sarebbe potuta succedere nel secolo scorso, non in questo!”.

Chi sono le donne delle tue foto?
Le donne che scelgo per le mie foto sono donne qualunque. Vado alle inaugurazioni, al supermercato, in piazza, anche se devo vincere un po’ il timore di alcune persone, che hanno paura di prendere una posizione decisa contro questo conflitto. Ho incontrato donne che, come me, credono che è ora che ci facciamo sentire, e altre che sono in qualche modo rassegnate a restare nell’ombra e che quindi niente cambierà. Ormai da settimane giro con la mia fotocamera per immortalare più visi di donne possibili. Ho inoltre in progetto di fotografare le donne che sono arrivate in questi giorni in fuga dall’Ucraina. Sono anche stata invitata alla Fabbrica del Vapore, dove tra poco si inaugurerà una mostra fotografica dedicata proprio all’Ucraina, per parlare del mio progetto. Quello che voglio che sia chiaro è che la mia performance non è né a favore dell’Ucraina, né a favore della Russia, ma è a favore delle donne, e per la disapprovazione generale e storica, della guerra. Siamo sempre noi donne ai margini, sarà ingenuo, infantile, ma vero. Sognare qualcosa di puro, di primitivo per molti è sinonimo d’ingenuità.
Progetti futuri?
Il 14 maggio si inaugurerà una mostra collettiva a Venezia. Sempre legata al tema dell’abbraccio – che è il fil rouge del lavoro sulle relazioni interpersonali, dell’affettività e dell’anaffettività, e del rapportarsi con gli altri – ci sarà prossimamente una grande mostra a Milano in collaborazione con Gilda Contemporary Art, la mia galleria di riferimento.
Pratico da due anni questa magia di unire i corpi, che si ritrovano venendo da chissà quale guerra.