Spazio alla fotografia anche quest’anno a Parigi. Da oggi fino al 12 novembre Paris Photo, la più importante fiera internazionale dedicata alle immagini, aprirà le porte del Grand Palais Éphémère, uno spazio espositivo temporaneo progettato dall’architetto Jean-Michel Wilmotte sugli Champ-de-Mars. Presente all’evento parigino anche Payram, artista di origine iraniana ed esperto di stampe fotografiche di grande formato.
Promuovere il mercato della fotografia e offrire ad un grande pubblico un programma ricco di progetti creativi, proposte, incontri e visioni del mondo che ci circonda restano l’auspicio e l’obiettivo principali anche di questa edizione. Presenti all’evento 191 espositori, tra gallerie (di cui 10 italiane) ed editori, provenienti da 25 Paesi diversi e 800 artisti. Nella sezione “Curiosa” saranno presentati diciasette fotografi che partecipano a Paris Photo per la prima volta.
“L’esilio è uno stato mentale e fisico”, spiega Payram, mentre racconta alla giornalista Pauline Picard su France24 la sua storia di esiliato. Ripensa alla Rivoluzione islamica iniziata nel suo Paese nel 1979, quando lui aveva 20 anni e studiava cinema a Theran. Da allora, la sua vita e quella di molti iraniani è radicalmente cambiata.
“La nostra generazione è stata colpita da esilio, prigione e guerra. E’ una generazione che ha subito la Rivoluzione iraniana e la successiva repressione per almeno 3 anni e poi la guerra in Iraq”. Nel 1983, Payram è scappato dall’Iran, raggiungendo prima la Turchia e poi la Francia. Da allora, ha preso in mano la macchina fotografica e non ha più smesso di scattare.
“Noi esiliati sentiamo fisicamente qualcosa di particolare che influenza il nostro sguardo e la nostra visione del mondo”, spiega. “Ho scelto la fotografia come un mezzo di espressione per mostrare questo stato interiore”.
Payram ha realizzato molti progetti, tra cui il libro Dialogue photographique sur la route de la soie con il fotografo del XIX secolo Paul Nadar, e un reportage in Siria, dove ha realizzato un lavoro su tre città e tre materie. E’ soprattutto in Siria che ha scelto di utilizzare la Polaroid per poter avere una prova instantanea diretta a partire dal momento in cui creava l’immagine. Questo mezzo gli ha permesso di avere un’immagine fisica e immediata e dunque più facilità nel comunicare con la gente che fotografava ad Aleppo e Damasco.
Sono 40 anni che Payram è lontano dalla sua patria. Pensando all’Iran e guardandolo da lontano, vede il coraggio delle donne che reclamano la loro libertà. Vede movimenti, manifestazioni, vede una lotta quotidiana che forse gli dà speranza. Chissà se prima di morire riuscirà a rivedere sul suo Paese: “Niente è eterno. Quel giorno, sarà un giorno con me o senza di me”.