Dalle Americhe all’Italia: la Biennale di Gerusalemme diventa itinerante

Nonostante la guerra l’arte continua il suo cammino. Dopo Kiev, Gerusalemme.

Alla sua quinta edizione, la Biennale di Kiev ha mantenuto l’impegno preso con il pubblico ed è partita lo scorso ottobre con lo slogan “Against the Logic of War”trasformandosi in un evento itinerante grazie al supporto di alcune città d’Europa come Vienna, Varsavia e Berlino. Questa soluzione solidale è stata scelta proprio per non cedere alla brutalità della guerra, unendo le forze per auspicare la pace.

Stessa sorte è toccata alla Biennale di Gerusalemme, che avrebbe dovuto inaugurare nella Città Santa il 9 novembre, con 35 mostre e 200 artisti in 22 sedi. Diventerà anch’essa un’iniziativa diffusa, e per il momento è stata rinviata alla primavera 2024. Ma la comunità artistica ha detto no.

Come è successo per l’Ucraina, si vuole fare fronte comune, perché l’arte possa rappresentare un trait d’union che non cede alle brutture della guerra: molti artisti e curatori hanno deciso lo stesso di allestire nelle proprie città di origine alcune delle mostre della Biennale in programma a livello internazionale.

“La Biennale di Gerusalemme – ha dichiarato Rami Ozeri, fondatore e direttore creativo – è diventata come un impulso che batte costantemente ogni due anni dal 2013, senza eccezioni e nonostante le numerose sfide”. Quest’anno è ispirata al tema Iron Flock (Gregge di Ferro), traduzione della frase ebraica Tzon Barzel, per esplorare i fondamenti della cultura contemporanea.

A partire da novembre, l’impegno di artisti e curatori di tutto il mondo porterà il programma della Biennale in Paesi e città molto distanti tra loro: New York, Buenos Aires e poi in Italia a Casale Monferrato.
L’Heller Museum di New York, presso l’Hebrew Union College-Jewish Institute of Religion, ha ospitato la collettiva Activate, a cura di Hadas Glazer, dove sei artisti della Grande Mela sono stati chiamati a rappresentare le diverse espressioni del potere femminile. Sempre a New York fino al 17 dicembre, la galleria Laurie M. Tisch presenta il progetto curato da Udi Urman dal titolo Hallelujahartisti israeliani che vivono a New York ed esplorano il proprio patrimonio culturale. A Buenos Aires, è in corso la mostra And These Are the Names, allestita all’AMIA Art Space.

Opera di Tobia Ravà per Esther

In Italia, il Museo Ebraico di Casale Monferrato presenta la mostra Behind the Mask, a cura di Ermanno Tedeschi e Vera Pilpoul. La mostra, aperta al pubblico sino al 3 dicembre, era originariamente pensata per l’Umberto Nahon Museum of Italian Jewish Art di Gerusalemme.

Incontriamo Elio Carmi, Presidente della Comunità Ebraica di Casale, che ci racconta quali sono le opere significative che troveremo in mostra: “Una Meghillà di Ester finemente realizzata, un pezzo tra i più rari della collezione del Museo Ebraico casalese. Ma è quello che si trova alle pareti ad attirare l’attenzione: una ventina di opere di artisti italiani e israeliani. Il tema è legato alla storia di Ester, al suo significato e al simbolismo che la circonda: gli artisti e le artiste hanno interpretato il concetto di travestimento e di maschera come proiezione di un desiderio che può simboleggiare una fuga dalla vita quotidiana, un atto di ribellione. Tra le opere spicca un dipinto di Gribaudo e un ritratto della Regina Ester di Tobia Ravà, che si presta ad affascinanti letture simboliche e semantiche. Ma il visitatore rimarrà colpito dai muri ricoperti di maschere colorate che riprendono il tema in modo fantasioso e vivace”.

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