di Gregorio G.
Testimonianza di un lettore di Independnews:
Sulla vostra testata leggo di viaggi e di storie di libertà ed è per questo che mi piacerebbe condividere con voi un’esperienza fatta qualche anno fa in India.
Ho quarant’anni, vivo a Firenze e ricopro una posizione di rilievo in una società che si occupa di finanza. Il lavoro è ben pagato e in un momento storico come questo posso considerarmi fortunato.
Per conquistare però questa pseudo tranquillità ho dovuto, come tanti, sacrificare molto della mia vita. L’eccesso di dedizione lavorativa mi ha allontanato dalla famiglia, dalle amicizie e dal mio fisico stesso che, a un certo punto, ha avuto il bisogno di fermarsi. All’inizio del 2006 sono andato in tilt. Insoddisfazione, tristezza e umore pessimo ogni giorno, ogni momento. Dovevo fare qualcosa.
Era primavera e durante una passeggiata per le vie del centro storico mi fermai a fissare la vetrina di un’agenzia viaggi. Invitanti cataloghi patinati promuovevano Goa e lo stato del Rajasthan. Pensai che un viaggio potesse essere l’ideale e cominciai a prendere informazioni sull’India da chi vi era già stato.
Ognuno caldeggiava l’esperienza fatta: il viaggio finto-avventuroso in strutture a cinque stelle, quello organizzato con velleità di ricerca spirituale e quello relax all’insegna di massaggi in spa di lusso. Non mi convinceva, sentivo che avevo bisogno di qualcosa di diverso. In procinto di gettare la spugna, mi imbattei in un collega che mi raccontò la sua esperienza di volontario a Calcutta. Inaspettatamente mi resi conto di essere molto interessato. Feci carte false per aggiudicarmi un mese intero di vacanza in agosto e, ottenuto il benestare, mi preparai al viaggio.
Senza rifletterci troppo segnai l’indirizzo della Casa Madre di Madre Teresa a Calcutta. La scelta era fatta, non restava che prendere il volo e partire. Una volta in aereo venni assalito dai dubbi: perché ero lì? Così pieno di problemi, come avrei potuto essere d’aiuto ad altri? Decisi di imbottirmi di tranquillanti e di fermare i pensieri dormendo.
Arrivato di fronte all’ingresso della Casa Madre respirai a lungo. Un misto di odori forti, spesso sgradevoli, mi risvegliò bruscamente dal torpore causato dal viaggio. Pronto o no, ormai ero lì. E fu il mese più bello della mia vita.
Scelsi di aiutare le suore a Prem Dan, un ospedale per malati di mente, moribondi e malati di TBC. Ero terrorizzato, ma ormai deciso a continuare. Mi svegliavo alle cinque di mattina per pulire il ricovero e la giornata continuava poi con il supporto ai pazienti: li aiutavo a bere e mangiare e li massaggiavo con creme idratanti per evitare loro il decubito. I loro sorrisi, i loro sguardi di gratitudine incondizionata sono stati la mia cura.
Una vacanza, una fuga dallo stress nata per caso si è trasformata in un appuntamento fisso. Ogni volta che posso torno da loro, dai loro sorrisi. Questo non significa che sia un’esperienza facile, tutt’altro. Quello che si vede a Calcutta non è accettabile. All’indigenza e alla sofferenza non ci si abitua, l’unica cosa che si può fare è reagire spinti da un fine più alto. Non ho ancora scoperto da dove venga quella forza che mi permette di resistere e di rendermi utile, l’unica cosa che so è che questa forza ora c’è e voglio continuare a metterla a loro disposizione.
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