“Amore non muta/ in poche ore o settimane,/ ma impavido resiste/ al giorno estremo del giudizio./ Se questo è un errore/ e mi sarà provato,/ io non ho mai scritto,/ e nessuno ha mai amato”. Aveva ragione William Shakespeare, profondo conoscitore dell’animo umano. Aveva ragione. Dopo questa giornata, sottoscrivo queste parole assai più di prima. Quanto può fare amore, quanto può sopportare amore, quanto può muovere amore. Davvero le montagne, davvero può fare vedere ai ciechi e parlare ai muti, se solo volesse, se solo fosse amore. E questo è amore.
Stamattina Gloria è stata “introdotta” a casa di Omar. Cosa vuol dire “introdotta?” Vuol dire che, se lui ha una prima moglie, quest’ultima avrà la parola finale nella scelta della favorita, della “seconda”. Se la prima moglie e tutto il clan approverà, la donna da lui amata avrà diritto ad essere eventualmente sposata. È un momento fondamentale. Se Gloria non piacesse anche solo a un membro della famiglia, potrebbero esserci dei problemi.
Adesso la guardo, Gloria, accanto alla prima moglie e ai figli di lui, bersi un chai, un tè, sorridendo. Le due donne non parlano le stesse lingue. Gloria un po’ di arabo lo mastica, ma la sua lingua di comunicazione è l’inglese. Asma (questo è il nome della donna) si arrangia con l’inglese ma parla solo in arabo. Potrebbero non capirsi mai. E invece no. C’è dell’eccitazione tra le due, della curiosità, del rispetto. Qualcosa che non avrei detto mai.
Intorno girellano i figlioli di primo letto di lui, due ragazzini già abbastanza grandi, agitati dalla novità di avere qui il padre, dopo tanto tempo, e di conoscere due donne che vengono da lontano, due amiche della mamma. Il grande riempie le tazzine di tè facendo la schiumetta con la caraffa: è un perfetto padrone di casa, tutto compreso nel suo ruolo ospitale. Il minore abbraccia la mamma di tanto in tanto, guardingo: è un piccolo panda. Fa l’occhio languido alla playstation, si suppone che abbia di meglio da fare. Ma si è messo lì, a guardia di questa novità: non si sa mai si trasformi in una minaccia.
Asma e Gloria stanno parlando, a modo loro. Una spiega come si prepara il vero chai. L’altra ascolta, annuisce, fa capire che è buono: “Taste good!”, e alza il bicchierino. Se qualche imbarazzo c’è, si scioglie appena Gloria si offre di portare le tazzine in cucina. Asma sorride e le dice un secco e musicale “Laaaaa”, per farle capire che “no, non è il caso”, ma che non ci poteva essere gesto più gradito che quello di mettersi al servizio, di condividere.
Guardandole capisco uno dei segreti dell’harem. Amare lo stesso uomo può unire o dividere le donne. Il secondo caso è quello più frequente, più naturale. Ma il primo è possibile. E queste due, forse, chissà, per quella innata curiosità che spinge due esseri umani a dirsi “ok, conosciamoci prima di capire se è il caso di farci la guerra” vogliono provarci. Del resto, condividono ciò che di più intimo una donna ha. Impazzire di gelosia è la prima opzione sul piatto. La seconda è conoscere il nemico, magari rendendosi conto che può diventare un valido alleato contro il proprio “padrone”. Sono certa che avranno pensato la stessa cosa prima ancora di incontrarsi. Come anche avranno pensato quanto il primo istante, quell’imponderabile che non dipende da te, avrebbe pesato su tutto il resto.
Quando Asma aveva aperto la porta teneva il capo scoperto, era vestita all’occidentale: una maglietta un tantino scollata, la gonna di jeans. Si era trovata davanti Gloria che, per rispetto, aveva indossato l’hijab. Le ho viste, nel preciso momento in cui si sono guardate per la prima volta. Avevano gli occhi umidi, il sorriso di chi si consola dopo un lungo pianto. Poi Gloria ha preso le mani di Asma tra le sue e, con quel gesto, ha rotto l’imbarazzo, le ha detto tutto. Tutto quello che poteva. Asma le offriva già il suo abbraccio.
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