ROMA – “Questa distinzione netta tra persone in fuga da guerre e/o persecuzioni (rifugiati, ai quali il diritto internazionale garantisce ospitalità) e altre che invece scappano verso la speranza di vita migliore (migranti economici, nei cui confronti nulla è previsto, ne dovuto) mi sembra quanto meno arbitraria: nella realtà, in non pochi Paesi si soffre sia per regimi oppressivi sia per squilibri economici terrificanti. Chi parte vuole fuggire tanto dalle angherie quanto dalla miseria”, dice Vincenzo Camporini, dal 2011 vicepresidente dell’Istituto Affari Internazionali (fondato su iniziativa di Altiero Spinelli nel 1965, per promuovere l’integrazione europea e la cooperazione multilaterale). Il Generale Camporini è stato Capo di Stato Maggiore della Difesa e in precedenza dell’Aeronautica; ha diretto il Centro Alti Studi della Difesa; laureato in Scienze Aeronautiche a Napoli e in Scienze Internazionali e Diplomatiche a Trieste.
Accogliere dunque, o rifiutare, con quale criterio?
“Scegliendo quelli che ci servono; se mi mancano dei saldatori, non posso ricevere docenti di letteratura subsahariana.
In genere emigra chi è più dotato di spirito di iniziativa, grinta, voglia di fare – in pratica i giovani essenziali allo sviluppo del proprio Paese. Fra i nostri governi e i loro occorre perciò negoziare, raggiungendo di anno in anno un compromesso che tenga conto degli interessi di entrambi.
Le tabelle di Eurostat sulle proiezioni demografiche europee non consentono illusioni: per esempio la Germania nel 2060 avrà 60 milioni di abitanti, rispetto ai quasi 90 di oggi. Per quanto automatizzata, un’economia sana non può reggere in queste condizioni, anche perché l’aspettativa di vita continua ad allungarsi e ci sarà sempre maggiore bisogno di assistenza. Dobbiamo rendere le nostre decisioni sulla base di dati obiettivi, e la realtà è che sarebbe contrario ai nostri interessi fermare le migrazioni (a parte il fatto che non sarebbe possibile). Occorre invece regolamentarle, possibilmente in modo uniforme in Europa, o almeno non incompatibile fra i diversi Paesi”.
Che senso ha proporre qui il Noway australiano?
“Nessuno, né dal punto di vista giuridico, né geografico, né pratico. Per nostra scelta noi facciamo parte del Consiglio d’Europa, dunque condividiamo determinati principi che nel tempo si sono consolidati in normativa. Il sistema australiano non è in linea con questo complesso di valori o e di leggi”.
Chi manovra gli scafisti?
“Gli scafisti agiscono in base al principio del profitto. Attraversano il Sahara o il Mediterraneo, vogliono solamente fare soldi. O si viene a patti con loro e li si paga in modo che perdano interesse a delinquere, oppure li si reprime. Per riuscirci, però, occorrerebbe un accordo fra i vari governi, possibilmente in un quadro di unione europea.
E’ evidente che le autorità locali siano, in modo diretto o indiretto, coinvolte nelle attività degli scafisti – non fosse altro per chiudere un occhio sulle carovane di esseri umani che attraversano il deserto. Teniamo presente, tuttavia, che stiamo riferendoci ad aree territoriali il cui controllo è particolarmente difficile, le estensioni sono enormi e la capacità di sorveglianza non è certamente ottimale”.
Analogie con i nostri migranti di fine ‘800, o del dopoguerra?
“Gli italiani che partivano per le Americhe oppure verso l’Europa settentrionale sapevano che in quei luoghi c’era carenza di manodopera e che le condizioni di vita erano migliori che in patria. Chi fugge oggi va, invece, verso l’ignoto, sogna un generico mondo migliore il più delle volte visto solamente su Internet e in televisione”.
Cos’ abbiamo imparato – o dovremmo avere imparato – nell’agosto scorso, dalla vicenda della motovedetta della Guardia Costiera Diciotti, approdata a Catania, carica di rifugiati eritrei ai quali il ministro dell’Interno Matteo Salvini vietò di scendere fino a quando ebbe individuato realtà disposte ad accoglierli?
“Che bisogna rispettare le regole: regole non imposte da altri ma liberamente accettate nel passato. Nulla vieta di rinunciarvi, però bisogna farlo con i dovuti strumenti e modi.
Che esiste il codice penale e c’è una graduatoria del diritto. Così come la Costituzione è al di sopra delle leggi ordinarie che prevalgono sui decreti attuativi i quali a loro volta sono superiori ai regolamenti, il diritto internazionale è concettualmente preminente rispetto al diritto nazionale (al di là che sia recepito o meno, tant’è vero che se io ho una diatriba con un altro Paese devo fare riferimento al diritto internazionale).
Che bisogna rispettare le forme, anche non codificate, e le gerarchie. Mi sono spesso occupato del problema del soccorso in mare, fin dagli anni ’70/80: si presentano situazioni in cui è veramente difficile individuare l’autorità responsabile in ogni singola parte dell’evento, e sapere chi deve fare cosa. Ben sovente finisce che nessuno è responsabile, e poi tutto evapora.
Che il nostro sistema istituzionale è inutilmente barocco, per cui sarebbe opportuna una riforma che chiarisca e definisca una volta per tutte le responsabilità dei vari ministeri, al contempo dotando la presidenza del consiglio di posizione preminente”.
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In primis bisogna che i migranti rispettino le regole e le leggi del Paese che li accoglie. Vivere in un limbo, oltre le regole della civile convivenza, crea un sentimento di esclusione, di tensione e di paura, difficile da gestire, che scatena xenofobia.