Non è una novità che per i tunisini l’Italia sia solo la porta d’ingresso verso l’Europa, in modo particolare verso la Francia. Lo abbiamo visto durante gli anni Novanta, ma lo notiamo ancora di più oggi, se facciamo riferimento alle vicende di Lampedusa di quest’anno. Degli immigrati tunisini in Italia, c’è chi è riuscito a comprarsi una casa, chi un’utilitaria, chi un pezzo di terra e chi è stato in grado di aiutare con continuità la propria famiglia in Tunisia. L’Italia, però, non ha mai avuto sui migranti tunisini quel tipico “appeal” culturale o civile, che per molti ha invece la Francia. E’ strano a dirsi, ma il soggiorno in Italia è spesso visto e vissuto dai miei connazionali come una soluzione temporanea, un passaggio e non certo una meta definitiva. Io stesso mi sono fermato in Italia quasi per caso.
Prima di raccontarvi le storie di tanti miei connazionali, che forse vi aiuteranno a conoscere meglio lo spirito di un migrante, inizio raccontandovi la mia.
Vengo da una città del sud della Tunisia, da una famiglia di agricoltori. Mio padre era il maggiore dei suoi fratelli, coltivava datteri e sperava che un giorno avrei potuto prendere il suo posto, andando a vivere nella casa di famiglia con una brava moglie e tanti figli. Voleva che continuassi gli studi e diventassi maestro. Gli avrei comunque dato una mano nei campi la mattina presto o nei fine settimana.
I nostri dittatori, prima Bourguiba e poi Ben Ali, erano l’espressione di una società patriarcale e totalitaria. Ma negli anni Novanta qualche cosa è cambiato e le grandi famiglie tunisine hanno incominciato a sgretolarsi. Oggi c’è un nuovo individualismo che avanza: si condivide la stessa casa, ma ognuno ha la propria vita ed autonomia.
Anch’io alla fine ho scelto un mio percorso, e questo non ha forse coinciso con le aspettative di allora di mio padre. “Prima pensa a fare il passaporto e poi ne parliamo” mi aveva detto quando gli ho comunicato che avevo intenzione di partire. “Ce l’ho già da oltre un anno papà” gli avevo risposto. “Allora buon viaggio e buona fortuna!” mi aveva replicato senza esitare.
Il sogno di ogni studente tunisino era, e rimane, quello di studiare in Francia. Ma le difficoltà burocratiche per accedere agli istituti francesi ci obbligavano a ripiegarci sulle università marocchine, che avevano programmi più simili ai nostri. Per me il Marocco era un primo passo verso l’Europa. Una volta laureato, avevo ipotizzato di andare a vivere in Francia, in Germania o nei Paesi del Nord. L’Italia era esclusa dai miei programmi.
Il 23 settembre del 1984 lasciai quindi la Tunisia per andare a studiare fisica a Rabat. Mi diplomai prima di trasferirmi, facendo due anni di chimica industriale nel settore tessile e uno stage di 6 mesi in un laboratorio di una grande azienda. A quell’epoca avrei potuto trovare facilmente un lavoro fisso nel mio Paese, ma troppa era la voglia di continuare gli studi e, per chi che come me voleva farlo, non vi erano altre strade se non quella di andare all’estero.
Ogni estate andavo a lavorare in Francia. Facevo il cameriere e con quello che guadagnavo pagavo i miei studi a Rabat. Alla fine di maggio del 1986, dopo aver dato gli esami all’università, sono partito in autostop per la Francia, attraversando la Spagna. Mi sono fermato quattro giorno a Portbou, l’ultima città sulla costa spagnola. Lì ho conosciuto Luciana e Sonia, due ragazze italiane che arrivavano dal Portogallo. Se non avessi incontrato queste due giovani donne non sarei mai arrivato in Italia. Nella prossima puntata vi racconterò come è andata a finire!
1 Comment