Dopo due anni di corteggiamento, il Comune di Milano e la società di produzione artistica MADEINART sono riusciti a portare in Italia uno dei più importanti scultori viventi. La Rotonda della Besana e la Fabbrica del Vapore di Milano ospitano le monumentali opere dell’artista indiano Anish Kapoor.
LA MIA VERITÀ – “Stravolgente” è l’aggettivo che userei per definire questa mostra. Voi cosa ne pensate? Se l’avete visitata, scriveteci subito le vostre impressioni
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Cominciamo con l’esposizione alla Besana. Il primo impatto è, indubbiamente, di forte curiosità. In uno spazio sostanzialmente spoglio ci accolgono sei imponenti installazioni in acciaio specchiante disposte a cerchio, al cui centro è posizionato un enorme contenitore circolare ricolmo di cera rossa costantemente lavorata da un braccio metallico. Si tratta di My Red Homeland, opera che l’artista ha ideato per rappresentare il silenzioso atto infinito di creazione e distruzione.
Nessuno ci spiega come interpretare le opere d’arte, ma istintivamente ci facciamo attrarre dal primo gigantesco specchio, C-Curve. Una lastra di acciaio inossidabile a forma di C, alta 2 metri e 20, comincia a deformare la nostra immagine. L’iniziale curiosità si trasforma in uno stato di allerta verso le sensazioni fisiche che percepiamo. Non riusciamo a guardarci troppo a lungo, gli occhi sono infastiditi e l’effetto provocato è quello della perdita di equilibrio. Quasi fossimo sul ponte di un traghetto in balia del mare in tempesta.
Ci allontaniamo, forse un po’ delusi di fronte ad un’opera che non permette di essere studiata a lungo. Ma Kapoor ha raggiunto il suo primo obiettivo: lo straniamento. Questa sensazione si replica poi nella visione di tutte le installazioni, mostrandosi sotto forme diverse a seconda del tipo di deformazione che gli specchi producono.
Via via si comprende quella concezione metafisica della scultura che Kapoor sposa. Le opere alterano l’immagine con l’obiettivo di coinvolgere lo spettatore sul piano sensoriale e farlo riflettere sulla natura dell’essere fisico e dello spazio. Le superfici specchianti aprono un varco nell’indeterminato, lasciando però libero il visitatore di coglierne la parte più spirituale o di interrogarsi sull’aspetto scientifico che provoca l’effetto ottico.
Terminata la mostra usciamo dalla Besana con la promessa di tornare. Una seconda visita è necessaria per vincere quel senso di alienazione che ti coglie la prima volta e provare ad apprezzare l’aspetto ludico delle deformazioni. Come Alice nel Paese delle Meraviglie.
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