La situazione attuale della città de L’Aquila a quasi tre anni dal sisma che la distrusse. La possibilità di comunicare e la capacità di ascoltare sono quanto possiamo chiamare bellezza.
LA MIA VERITÀ – Facciamoci rumore e riscopriamo la memoria, non la nostalgia, che è vita e moralità. Fare memoria è indispensabile perché nella memoria tutto è in qualche modo salvo e nulla va perso. La memoria è un territorio vasto che aumenta la nostra libertà di movimento e comporta, inoltre, il desiderio di rompere il silenzio.
Il 6 aprile del 2009 un terremoto distrugge L’Aquila. Dopo quasi tre anni, torno in città per vedere come procede la ricostruzione. Mi immagino una città in fermento, una città nuova, rinata dalle macerie. Invece, mi accoglie una città immobile, nostalgica che si tiene a galla con fatica. Tutti gli edifici sono puntellati e circondati da impalcature e transenne “messi in sicurezza”, ma i lavori di restauro e di riedificazione non sono ancora cominciati, né le macerie sono state rimosse. Le strade sono tutte vuote e buie. Raggiungo il centro storico. Nell’intera area che fu classificata come “zona rossa”, inaccessibile ai suoi ex abitanti, vige tuttora lo stato d’emergenza. Dunque, che fine hanno fatto gli aquilani? Come vivono? Quali prospettive esistenziali per chi, senza più casa, alloggia negli alberghi della costa abruzzese o è in affitto nei paesi vicino a L’Aquila?
Mi fermo a parlare con alcuni di loro in piazza Duomo dove è stato allestito un tendone, luogo di incontro e di dibattito dell’assemblea cittadina. “C’è stata una vera e propria diaspora aquilana”, mi racconta Antonio Gasbarrini, autore del saggio J’accuse!, che ripercorre le vicissitudini degli aquilani dal post terremoto fino all’attivismo del popolo delle carriole. “Le persone hanno abbandonato il centro, tutto inagibile secondo la Protezione Civile, e – continua – la situazione è peggiorata perché la gente, oltre ad aver perso tutto, sopravvive male in questa città. Non avendo certezze e continuando a chiedersi “che fare”, gli aquilani vorrebbero riappropriarsi della città morta e cominciare, pezzo dopo pezzo, a ricostruirla contro chi ha finto di affrontare i problemi del dopo terremoto vantando il dono di c.a.s.e.t.t.e in cartongesso e di Moduli abitativi provvisori (map), di ripari di legno spacciati per lussuosi chalet. Abitazioni peraltro finanziate dalla solidarietà nazionale ed europea.”
Ma che cos’è il progetto C.A.S.E. (Complessi Antisismici Sostenibili ed Ecocompatibili) e a chi è destinato? “La comunità aquilana è dispersa su 19 agglomerati – ci spiega la signora Pina – sparsi su tutto il territorio intorno a L’Aquila.”
Sono le cosiddette new towns, i nuovi quartieri del progetto C.A.S.E. che, osannate dai mass media come “il miracolo aquilano”, si sono rivelate di fatto un vero e proprio fallimento dato che non sono riuscite a risolvere l’ampia assistenza alloggiativa e solo un terzo della popolazione vi ha trovato ospitalità.
“A differenza delle frazioni, ai cittadini aquilani non è stato garantito il principio della territorialità, principio che – continua con amarezza la signora Pina – consente di evitare traumatici sradicamenti e favorisce la continuità dei rapporti umani. Il principio invocato è da condividere pienamente. La rinascita di singole porzioni di territorio è legata in maniera indissolubile alla rinascita dell’intera città, al mantenimento della coesione sociale, alla possibilità di ricostruire le relazioni che ognuno di noi coltivava prima della tragedia. In caso contrario, gli effetti sullo stato d’animo degli abitanti e sulla ordinaria vita familiare saranno ancora più tragici.”
Perché il principio della territorialità non è stato adottato anche a L’Aquila? Perché, invece di ricostruire il centro storico della città si è preferito sradicare, impacchettare e spedire gli aquilani in palazzine popolari tutte uguali, asettiche, su spazi anonimi dove gli individui, isolati e privati dei necessari riferimenti, perdono la propria identità?
“È una scelta politica studiata. Si sta cercando di ricostruire una città intorno a L’Aquila totalmente diversa dall’originale”. Il signor Mario esprime a parole il presentimento di numerosi cittadini. “Molte imprese non aquilane sfrutteranno le agevolazioni fiscali che la zona franca urbana garantisce all’interno di questo processo più che ventennale di ricostruzione. Ai grandi vantaggi per le ditte corrispondono i grandi danni verso la popolazione che vive in condizioni di miseria. Sono 35.000 le persone senza casa, 2.000 i cassintegrati e 4.000 i disoccupati.
Quale futuro ci aspetta? Invece di ricostruire L’Aquila dai pezzi originali si sta edificando una città che non ha nulla a che vedere con il suo passato, le sue tradizioni e le sue radici.”