Le donne silenziose dell’Angola


 
L’Angola è il Paese delle ferite. Devastato da una lunghissima guerra civile, iniziata nel 1975 e conclusa solo nel 2002, viene colpito al cuore mentre tenta di rialzarsi. Prima il colera, che decima la popolazione a partire dal 2006, e poi un’alluvione nel marzo di quest’anno. Nel frattempo Stati come il Venezuela fanno pressioni sulle sue riserve energetiche. Una cooperante italiana, ostinata e contraria, decide allora di partire e provare a fare la differenza.

LA MIA VERITÀ – Noi speriamo che l’ombra del dollaro non cali sull’Angola come in Liberia, dove il potere femminile, a partire dalla presidentessa Ellen Sirleaf, è di diretta emanazione americana.

Si chiama Angela Bardelli e lavora al Cospe, un’Associazione privata senza scopo di lucro, impegnata in circa 30 Paesi nel sud del mondo con oltre 100 progetti per il dialogo interculturale, lo sviluppo equo e sostenibile ed i diritti umani.

Entrata a far parte dell’Associazione grazie al servizio civile, è in Angola dal 2009 per seguire i progetti di supporto alla ripresa socioeconomica del Paese. “Al mio arrivo ho trovato una terra prostrata dalla guerra. I tetti delle case erano ancora ricoperti di filo spinato e non si poteva girare in auto se non con i finestrini chiusi. Nel giro di poco tempo siamo riusciti a ricostruire i collegamenti tra la capitale e le altre città.  Prendere i mezzi pubblici non è più pericoloso e ci sono perfino alberghi di lusso per gli uomini d’affari che trattano petrolio. Ora stiamo lavorando a riorganizzare l’attività agricola”.

Fondamentale l’apporto delle donne che sono sempre state in prima linea a partire dal giorno dell’indipendenza. E questo nonostante le violenze. Secondo un sondaggio dell’Organizzazione delle donne angolane (l’OMA, l’ala femminile del Movimento popolare per la liberazione), nel sobborgo periferico di Cazenga ci sono stati, solo nel 2009,  quasi 4mila episodi di violenza, che equivalgono a circa 10 aggressioni al giorno. Numeri impressionanti che si sommano al Rapporto prodotto nello stesso anno dal Dipartimento di Stato Usa per i diritti umani. Il 62% delle donne residenti nei quartieri poveri della capitale ha subito una qualche forma di violenza domestica.

Eppure l’Angola è tra i dieci Paesi africani con più donne ai posti di comando e di vertice, come ha ricordato il segretario alla Presidenza della Repubblica per gli Affari Giuridici, Florbela Araujo, durante la conferenza internazionale sui diritti delle donne svoltasi il 22 settembre scorso a Brasilia. “Il 40% dei posti in Parlamento è occupato dalle donne. Ma l’obiettivo è raggiungere il 50%!”.

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4 Comments

  • Emma

    Essere partigiani significa avere cura. Brava Paola! Originale e fuori moda, così come devono essere le donne vere! Non come i cloni che si vedono in giro!

  • Patrizia

    Oh certo. Poi si vede che è davvero una frase originale e mai sentita prima da altri. Insomma, il Medio Oriente, Gramsci. Davvero devi essere una persona preziosa che si è formata sulla propria esperienza e mai emulando quella altrui.
    Buon lavoro di cuore.

  • Patrizia

    Grazie molte Paola.
    Poi, leggere di te che odi gli indifferenti. E’ davvero importante. Poche persone leggono e apprezzano Gramsci, oggigiorno. E’ un piacere leggere una frase così, affatto banale. E che sicuramente ti appartiene.

    • Paola de Benedictis

      Essere partigiani, prendere posizione significa avere cura. Significa chiamarsi alla responsabilità. Rispondere sempre in prima persona. Grazie di cuore a te.

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