
Su cosa sia il Bello ai giorni nostri parlano Luca Carotenuto, medico estetico, e Francesco Rovtar, consulente informatico; tra le conclusioni, offre le sue riflessioni il pittore Luciano Bonetti.
ROMA – Da sempre, “bello” si dice per realtà le più diverse, l’aggettivo anzi assume nelle varie lingue significati con importanti sfumature differenti. Una definizione condivisa finora, è stata pressoché impossibile – i filosofi ci stanno provando da secoli. Se chiedessimo alla scienza?
Partendo dalla constatazione che tutte le nostre attività quotidiane coinvolgono in qualche misura varie aree del cervello (magari con intensità e tempi diversi), una risposta viene da Semir Zeki, titolare della prima cattedra di neuroestetica alla University College London, collegata con la University of California Berkeley. Attraverso la risonanza magnetica, lo scienziato franco-britannico, oggi 85enne, analizzò la risposta del cervello umano durante l’osservazione di tante belle immagini, ad esempio opere d’arte. Fu così dimostrato per la prima volta scientificamente che la stessa immagine può avere effetti diversi a seconda dei vari soggetti.

Perché l’immagine ha sempre una valenza emozionale oltre che estetica, spiega Francesco Rovtar, consulente informatico, attivo da una trentina di anni. Esempio macroscopico, la cosiddetta Sindrome di Stendhal
Come si manifesta?
“È una reazione emotiva e fisica sproporzionata di fronte a opere d’arte di grande bellezza, soprattutto se in spazi chiusi o con grandi quantità di esemplari, praticamente un disturbo psicofisico causato da un sovraccarico di stimoli estetici e culturali. Da un semplice malessere diffuso a tachicardia, vertigini, anche nausea, disorientamento fino allo svenimento. Il nome deriva da uno scrittore francese, Stendhal, che nel suo libro “Roma, Napoli e Firenze” (1817) descrisse il suo forte malessere nella basilica di Santa Croce a Firenze”.
Quando si comincia a delinearne una Sindrome?
“Praticamente solo una secolo dopo. La psichiatra Graziella Magherini, che lavorava all’Ospedale Santa Maria Nuova a Firenze, raccolse nel suo libro “La sindrome di Stendhal” un centinaio di episodi che si erano verificati soprattutto fra turisti – indipendentemente se di fronte a opere di gioia o di dolore, da le Tre Grazie di Canova fino a La Pietà di Michelangelo.
A questo punto, scendendo dall’empireo a un supermercato, possiamo constatare anche nel quotidiano la genialità della scoperta di Zeki, e come si presti a essere utilizzata anche a fini commerciali.
Ti sei mai chiesta che senso abbia la frenesia di una persona bellissima che, magari durante la preparazione di un calendario o di un servizio fotografico, continua a chiedere modifiche e ritocchi a foto già scattate, evidentemente, con i più raffinati accorgimenti? Perché, se già splende di luce propria?”.
Già. Perché?
“Perché la bellezza è anche, anzi è soprattutto, emozione: Coinvolge il cervello, ineluttabilmente attrae e ineluttabilmente sfugge. Questo, il mercato lo sa bene. E vigila affinché il tuo ideale estetico rimanga irraggiungibile”.
In che modo?
“Spostando l’asticella dell’ideale sempre un po’ più in là… così lo insegui a prezzo di ansia e di senso di inadeguatezza generalizzati (una sensazione che nel caso della bellezza potrebbe condurre anche a comportamenti autolesionisti)”.
Al di là del fatto professionale, nel quotidiano quali sono le modifiche più frequenti richieste?
“In genere riguardano il volto, destinato a fotografie da mettere sui Social; i clienti sono per lo più donne, ma non soltanto _ vogliono soltanto essere più belli secondo canoni ben sperimentati nei rispettivi paesi. Le richieste di modifiche al corpo sono meno frequenti, più che altro per motivi di marketing”.