“Il matrimonio – si legge nel nuovo articolo 143 del codice civile francese – è contratto tra due persone di sesso opposto o dello stesso sesso”. Sono 331 i sì e 225 i no. E’ tensione nell’aula dell’Assemblea Nazionale di Parigi, ma la legge sulle nozze gay e sull’adozione di bambini da parte di coppie dello stesso sesso è approvata e a nulla sono valsi gli appelli dell’opposizione e le numerose manifestazioni dei francesi contrari. I primi matrimoni gay potranno essere celebrati già da giugno e la Francia si colloca al quattordicesimo posto nella lista dei Paesi “permissivi”. I giorni che hanno preceduto il decisivo “martedì 23 aprile” sono stati molto movimentati a la Ville lumière. Anche il Bistrot è stato in qualche modo coinvolto, trasformandosi in un luogo di dibattito e confronto.
“Non ci penso neanche di andare a manifestare”, dice Delphine con un sorriso amaro. Un sorriso, il suo, che lascia intendere disprezzo verso questa nuova legge, ma anche tanta rassegnazione. Eppure i francesi sono combattivi. E questa nuova legge non piace proprio a tutti (secondo i sondaggi almeno al 35% dei francesi). In questi giorni, infatti, il palazzo dell’Assemblée nationale, la Rive gauche, la zona de Les Invalides e le strade limitrofe erano barricate: da una parte poliziotti, pronti ad entrare in guerra, dall’altra la destra conservatrice, cattolici, famiglie e bambini uniti in vivaci cortei per urlare il loro “no”.
Si è parlato (e si è letto) di manifestazioni violente, persone fermate, scontri. Al di là degli imperdonabili attacchi omofobici nel Paese, ho avuto la sensazione che a Parigi la gente manifestasse con buon senso e forte convinzione. La creatività di molti ha trovato espressione in concerti, canti, balli, fuochi d’artificio e défilé. La polizia era pronta al peggio, ma era anche emotivamente coinvolta. Ho intravisto qualcuno di loro che avrebbe voluto abbandonare l’uniforme e partecipare alle manifestazioni. Contro chi e a favore di chi non ho avuto modo di saperlo.
“Il presidente Hollande con questa legge ha dimostrato di essere coerente. Ha tenuto fede al suo programma”, mi spiega Charles. “Ma la sua popolarità è veramente ai minimi storici. Dovrebbe pensare soprattutto al lavoro e all’occupazione, ma non vedo molto. I giovani francesi sono disillusi e ora hanno solo voglia di andarsene”.
“E’ proprio vero”, interviene Stéphanie. “Mio figlio, appena finirà il liceo, andrà a Londra. L’atro studia cinese e cerca lavoro in Asia. I giovani europei stanno emigrando tutti”.
Il prossimo 15 maggio Françoise Hollande festeggerà il primo anniversario della sua presidenza. E dopo la prima tappa – mi riferisco alla legge 143 -, chi sa che ce ne siano altre e che le previsioni di Stéphanie e di Charles non siano esatte.
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