Shalit e Gheddafi: vivere e morire nei social media


Due volti. Due storie. Due destini. Due modi di viverli. Ma soprattutto due modi di rappresentarli nei Social Media.

Gilad Shalit e Mu’ammar Gheddafi sono stati i protagonisti assoluti delle cronache internazionali delle ultime due settimane. I loro visi – il primo emaciato e felice, il secondo devastato dalla violenza della morte – sono apparsi ovunque nei media tradizionali, risvegliando sentimenti diversi, ma ugualmente forti. Ma è su Facebook, Twitter, Tumblr e Flickr che la loro rappresentazione ha consegnato all’iconografia i momenti più caratterizzanti della loro vita: la liberazione del soldato israeliano, l’uccisione del dittatore libico.

Gheddafi. Ph. Norbert Schiller

Lo Shalit e il Gheddafi che avevamo conosciuto fino a quel momento erano completamente diversi, così come erano stati diversi, almeno all’inizio delle loro vicende divenute pubbliche, i media che li avevano rappresentati. Le foto di famiglia di un ragazzo magro in divisa rapito nel 2006 sul confine tra Israele e Gaza, le immagini televisive in bianco e nero di un uomo “bello e impossibile”, che nel 1969 aveva vinto la sua rivoluzione e istituito quello che, decine di anni dopo, sarebbe stato definito come uno dei peggiori regimi del Nordafrica.

Rappresentazioni di un’epoca andata a una velocità tale che persino un anno relativamente vicino come il 2006 sembra ormai storia. Poi c’erano stati i video che mostravano Shalit nei freddi colori e nella scarsa luce della sua prigione, e le richieste per uno scambio di prigionieri da parte degli uomini responsabili del suo rapimento.
E dall’altra parte c’erano i servizi televisivi e i colori sgargianti dei viaggi di un leader – o di un raìs – che appariva caricaturale con i capelli tinti e le rughe spianate da improbabili interventi estetici e che stringeva le mani di importanti uomini politici alla ricerca di accordi economici e petroliferi. Di fronte a queste immagini, dapprima lentamente e poi con sempre maggiore energia, le loro vicende sono diventate argomento di discussione all’interno dei Social Media. Blog, Facebook, Twitter hanno cominciato a parlare di loro in maniera sempre più organizzata e preponderante, seguendo naturalmente due narrative diverse.

Nel caso di Gilad Shalit i gruppi a sostegno della sua liberazione si sono moltiplicati superando rapidamente i confini dello Stato Israeliano. La pagina Facebook Free Gilad Shalit – ora in fase di chiusura – è diventata uno dei punti di riferimento della campagna, raccogliendo l’eredità dei numerosi blog, canali youtube e, soprattutto, del sito gestito dalla famiglia del giovane, che, nei cinque anni di prigionia, ha cercato – riuscendoci – di tenere alta l’attenzione intorno alla vicenda del 25enne israeliano. 

Una delle iniziative più interessanti e simboliche riguarda il tweet4shalit lanciato il 26 agosto 2009 in occasione del 23esimo compleanno del ragazzo. Oltre a creare un omonimo canale, i promotori dell’iniziativa hanno invitato tutti i tweeters a fare gli auguri al giovane inserendo nei propri 140 caratteri l’hashtag #tweet4shalit. La campagna è stata un successo da l punto di vista delle adesioni e ha raggiunto lo scopo di essere ripresa dai media tradizionali (televisioni e quotidiani) ottenendo quell’effetto moltiplicatore che garantisce il giusto livello di attenzione alla causa supportata.

Il destino di Mu’ammar Gheddafi è stato invece ben diverso. Il suo percorso narrativo all’interno dei Social Media è stato caratterizzato, in Libia, da una serie di Facebook e Twitter che hanno contribuito – subito dopo la rivolta egiziana del 25 gennaio scorso – a dare vita al movimento 17 febbraio, fino a quando lo stesso raìs ha chiuso tutti gli accessi ad internet. All’estero, invece, pagine satiriche ne hanno evidenziato gli aspetti caricaturali (i viaggi nella tenda beduina, i cavalli berberi al seguito, la richiesta di incontrare donne giovani e belle per parlare del libro verde, ecc.), riferendoli prevalentemente ai suoi rapporti con Paesi stranieri, in particolare Italia, Francia e Gran Bretagna.

Ma mentre Shalit viveva nei Social Media, Gheddafi veniva ucciso – più o meno lentamente – all’interno degli stessi. Fino alla fine delle loro vicende pubbliche. Il 18 ottobre 2011 Jakob Kobi Gamliel, promotore della più importante delle campagne sociali per Gilad Shalit, dopo due anni di attesa ha potuto pubblicare il suo “status facebook” perfetto: At home, immediatamente condiviso in centinaia di profili facebook e migliaia di tweet in tutto il mondo.

Il 20 ottobre 2011 migliaia di status su Facebook, Twetter, foto e video condivisi su Flickr e YouTube davano la notizia della morte del raìs libico. Il suo volto stravolto e coperto di sangue faceva il giro del mondo provocando reazioni contrastanti, ma sempre accompagnato da un sentimento comune: la fine di un’era, tra mille dubbi e mille perplessità per la violenza dell’epilogo reale e dell’ostentazione nel virtuale.  E a fronte di tutto ciò, il tweet di un giovane libico faceva il giro del mondo: il popolo libico chiederà scusa per la morte di Gheddafi quando l’Italia chiederà scusa per quella di Mussolini e la Germania per quella di Hitler. A suo modo questo era il suo “status perfetto”, atteso per la maggior parte dei suoi 25 anni di età.

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