Vivono dentro le celle di un ex penitenziario nel centro di Gurrakoc, un
villaggio che fa parte del Comune di Istok, in Kosovo. Sono giovani donne Rom con i loro mariti e figli, che, dietro le mura sgretolate della vecchia prigione, nascondono la loro storia. Si muovono silenziosamente, nel timore che qualcuno li possa mandare via. Li ha individuati il Tenente Colonnello Corrado Prado, responsabile dell’unità CIMIC (Civil Military Cooperation) del contingente italiano KFOR.
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KOSOVO, esempio di “ricostruzione”(3)/ La voce delle minoranze Rom
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KOSOVO, esempio di “ricostruzione”(2)/ La parola a KFOR
17 April 2014
Dal VM90 intravediamo un Paese malinconico. Sia a destra, sia a sinistra, si estendono cimiteri di piccole o grandi dimensioni, che fanno parte di un paesaggio collinoso privo di un vero e proprio progetto urbanistico. Le vecchie abitazioni di pietra, per la maggior parte distrutte durante la guerra, sono state quasi interamente demolite.
Al loro posto, case di mattoni senza intonaco sono cresciute come funghi. I mattoni rossi, lasciati nudi, sembrano voler sottolineare un taglio netto con il passato e la volontà di un popolo di guardare avanti; ma rappresentano anche la precarietà di un Paese senza vere prospettive. Non sappiamo come chiamare le città che attraversiamo: Pec o Peja? Dakovica o Gjakove? I cartelli stradali indicano due (o più) nomi, ma molto spesso uno dei due è cancellato e subito capiamo di trovarci in un Paese che possiede una “doppia identità”. Rientrati alla base del Multinational Battle Group – West, nei pressi di Pec/Peja, che è stata soprannominata “Villaggio Italia”, incontriamo il comandante, il colonnello Antonio Sgobba, e gli facciamo alcune domande sulla missione KFOR e sul ruolo dell’Italia.