Dal VM90 intravediamo un Paese malinconico. Sia a destra, sia a sinistra, si estendono cimiteri di piccole o grandi dimensioni, che fanno parte di un paesaggio collinoso privo di un vero e proprio progetto urbanistico. Le vecchie abitazioni di pietra, per la maggior parte distrutte durante la guerra, sono state quasi interamente demolite. Al loro posto, case di mattoni senza intonaco sono cresciute come funghi. I mattoni rossi, lasciati nudi, sembrano voler sottolineare un taglio netto con il passato e la volontà di un popolo di guardare avanti; ma rappresentano anche la precarietà di un Paese senza vere prospettive. Non sappiamo come chiamare le città che attraversiamo: Pec o Peja? Dakovica o Gjakove? I cartelli stradali indicano due (o più) nomi, ma molto spesso uno dei due è cancellato e subito capiamo di trovarci in un Paese che possiede una “doppia identità”. Rientrati alla base del Multinational Battle Group – West, nei pressi di Pec/Peja, che è stata soprannominata “Villaggio Italia”, incontriamo il comandante, il colonnello Antonio Sgobba, e gli facciamo alcune domande sulla missione KFOR e sul ruolo dell’Italia.
“Il nostro obiettivo è quello di garantire, attraverso attività di pattugliamento e sorveglianza, un ambiente sicuro, oltre che la libertà di movimento lungo le strade principali del Kosovo”, ci spiega il colonnello. “In presenza di problemi, i primi a poter intervenire sono la Kosovo Police, a seguire Eulex e, poi, noi”. Nonostante il livello di minaccia sia adesso relativamente basso, il comandante ci dice che “si verificano ancora episodi di intolleranza interetnica. I più preoccupanti sono localizzati soprattutto a nord”. Ma il Kosovo è anche un Paese dove il “nero” è diffuso e la criminalità è in forte aumento, con clan che trafficano non solo droga, armi e prostitute, ma anche organi umani. “Dal mese di settembre dello scorso anno abbiamo registrato numerosi scontri – che non erano di carattere interetnico – tra bande kosovare albanesi”, conferma il colonnello.
Oltre a garantire la sicurezza, il contingente italiano, attraverso il team CIMIC, è coinvolto anche in molte attività a sostegno della popolazione kosovara. La disponibilità di cibo, ad esempio, è uno dei problemi principali da affrontare quotidianamente, insieme ad altri, come la sanità e l’istruzione. Ma i fondi, purtroppo, “non sono mai abbastanza!”, confessa il colonnello.
Il futuro della missione KFOR resta ancora incerto. A confermarlo è anche il comandante Sgobba: “La nostra permanenza qui dipende dalla condizione di sicurezza raggiunta da questo Paese, in particolar modo dall’esito delle elezioni parlamentari che si terranno nei prossimi mesi”.
Ma le prospettive di dialogo tra i diversi gruppi etnici presenti in Kosovo hanno anch’esse un ruolo centrale. Quando gli menzioniamo il nostro colloquio con Vesna Malinkovic, rappresentante per la minoranza etnica serba della municipalità di Istok/Istog, e gli chiediamo se condivide quanto ci ha detto, cioè che in Kosovo non esiste una società multietnica, il colonnello lascia la parola al capitano Gianluca Greco, responsabile della Pubblica Informazione del Villaggio Italia: “Nel Paese ci sono diverse realtà di vita per le minoranze. A nord, dove l’etnia serba è la maggioranza, hanno sposato la divisione. Nelle enclavi abitate da kosovari serbi rimasti durante la guerra, il dialogo a livello istituzionale, invece, è molto più agevole e KFOR ha avuto un ruolo determinante. Nelle ‘returnees areas’, quelle zone popolate da serbi che sono rientrati in Kosovo dopo la guerra, ci sono ancora episodi che possono ricondursi ad una difficile integrazione o ad una scarsa accoglienza”.
“La scommessa attuale – continua il capitano Greco – dopo gli accordi di Bruxelles, è che la mediazione europea riesca ad integrare i quattro Comuni del nord a maggioranza serba. La proposta è la creazione di un’associazione dei Comuni serbi sotto il controllo centrale del Kosovo, in grado di garantire, con proprie autonomie, maggiore integrazione”.
Tra i problemi pratici del Paese, il capitano Greco individua anche la mancanza di lavoro e l’incertezza di avere una stabilità economica. “Qui l’età media è bassa (28 anni) e l’economia non decolla”, ci spiega. In effetti, già prima di arrivare in Kosovo, sapevamo che il Paese oggi vive principalmente di rimesse degli emigrati. A confermarlo sono anche le numerose banche che abbiamo visto attraversando le città. Nell’individuarle, abbiamo notato, però, che la maggior parte di esse sono svizzere o tedesche. Ci sorprende scoprire che gli investimenti italiani nel Paese siano minimi, nonostante la vicinanza geografica e l’importante partecipazione dell’Italia alla missione KFOR (da settembre 2013 l’Italia ha assunto nuovamente il comando dell’intera missione NdR). E chissà che un Kosovo più sicuro e stabile – e più vicino all’Europa – possa offrire all’impresa italiana un terreno fertile per sviluppare i propri interessi!
E cosa manca ancora per arrivare alla stabilità?, chiediamo infine al capitano Greco. “Manca il tempo!”, ci risponde senza esitazione. “Le ferite di guerra non si possono cucire in pochi anni. La diplomazia si sta muovendo nel verso giusto, i cittadini sono fiduciosi, ma devono passare delle generazioni per vedere i risultati”.
Nella prossima puntata la voce alle minoranze etniche rom presenti in Kosovo.
Guarda la puntata precedente: La rabbia di Vesna
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Da ricordare:
8 maggio 1989 Slobodan Milošević diventa il Presidente della RepubbliFocusMéditerranée by Independnewsca di Serbia (e dal 1997 della Repubblica Federale di Jugoslavia) e avvia una politica di assimilazione della provincia kosovara, colpendo principalmente i kosovari di etnia albanese con un vero e proprio programma di pulizia etnica.
Prima del giugno 1999: scontri quotidiani tra le forze militari della Repubblica Federale di Jugoslavia e le forze paramilitari dell’Esercito di liberazione de Kosovo (UCK). Crisi umanitaria.
12 giugno 1999: la KFOR entra in Kosovo su mandato delle Nazioni Unite per garantire sicurezza e stabilità
17-19 marzo 2004 pogrom anti-serbo: importanti episodi di violenza da parte di militanti indipendentisti albanesi-kosovari di religione musulmana contro le comunità serbe rimaste in Kosovo. Vengono assassinati serbi ortodossi, bruciati e danneggiati anche monasteri e chiese.
17 febbraio 2008 il Kosovo esce dal protettorato occidentale e si autoproclama indipendente (oltrepassando unilateralmente i confini della vecchia risoluzione 1244 dell’ONU). Il territorio è attualmente amministrato dalle Nazioni Unite. Viene riconosciuto solo da alcuni Stati (in Europa, per esempio, non da Spagna, Grecia, Cipro, Slovacchia e Romania). La Serbia continua a rivendicarlo come parte integrante del proprio territorio. Cina e Russia difendono la posizione della Serbia.
Da sapere:
Etnie presenti oggi in Kosovo
– kosovari-albanesi (circa il 92% della popolazione)
– kosovari-serbi (circa il 5%)
– altre etnie: gorani, rom, bosgnacchi… (circa il 3%).
Missioni internazionali
– ONU con la missione UNMIK (United Nations Interim Administration Mission in Kosovo): è stata istituita il 10 giugno 1999 con la risoluzione 1244 del Consiglio di Sicurezza, che ha nello stesso tempo autorizzato l’ingresso di un contingente di sicurezza guidato dalla NATO: la KFOR (Kosovo Force). Ha svolto le funzioni di polizia e giudiziarie fino al 9 dicembre 2008, quando queste competenze sono state assegnate alla Missione dell’Unione europea sullo stato di diritto in Kosovo (Eulex).
– NATO con le truppe KFORCE.
– Unione europea: dal 2008 con la missione EULEX per garantire la promozione e il rispetto della stato di diritto.