Incontrare Ali Tahayori è come fare un viaggio attraverso specchi frantumati e storie di appartenenza. Nato e cresciuto in Iran negli anni ’80, in un clima fortemente omofobo, Ali ha assunto presto l’identità di un outsider e, nel 2007, ha deciso di emigrare in Australia. I suoi lavori si focalizzano sull’identità e l’appartenenza, ma sono anche un inno alla resilienza umana attraverso l’arte, testimoniando l’esperienza di essere emarginato ed esplorando la diaspora, lo sradicamento e la queerness.
Con un dottorato in Medicina e un MFA in Fotomedia presso la National Art School, Tahayori ha sviluppato una pratica artistica che combina rigore accademico e una forte energia creativa. Per esplorare l’identità, la famiglia e il senso di appartenenza, l’artista utilizza la fotografia concettuale, i video, i lavori con specchi e le installazioni.
Le sue opere attingono alle antiche filosofie iraniane sulla luce e gli specchi, creando esperienze visive che rivelano e nascondono al contempo, simboleggiando la natura conflittuale della sua identità. Durante una breve incontro al MIA Photo di Milano, Tahayori ha spiegato che “Le nostre identità si manifestano attraverso il nostro volto, il modo in cui vogliamo presentarci. Ma guardando queste immagini, ho realizzato che c’è tanto nel modo in cui le mani si intrecciano l’una con l’altra, o per esempio nelle foto di gruppo, come ci incliniamo organicamente l’uno verso l’altro. Per me, c’era un senso di intimità, vulnerabilità e desiderio nel modo in cui queste mani sono presentate in questa fotografia.”
Il progetto “Archive of Longing” al quale Ali fa riferimento è un’esplorazione personale dell’amore e dell’appartenenza attraverso un archivio familiare ereditato. Tahayori rifotografa, ritaglia, ingrandisce e stampa su vetro le vecchie fotografie di famiglia. Queste immagini vengono poi frantumate e riassemblate, creando rilievi scultorei che sfidano la percezione tradizionale della fotografia.
La scelta di usare il vetro invece della carta richiama i negativi a lastra del XIX secolo, noti per la loro nitidezza e stabilità. Come i dagherrotipi, le immagini di Tahayori cambiano e si trasformano mentre lo spettatore si muove osservandole. E, come uno specchio rotto, il vetro frantumato riflette lo sguardo di chi ammira, invitandolo a riflettere sulla storia e sulla memoria attraverso una lente queer e diasporica.
“Archive of Longing” non è solo un’opera d’arte, ma un dialogo continuo con il passato e il presente. Ali cerca tracce di intimità in un contesto sociopolitico violento, offrendo una visione frammentata, ma potente, della realtà. “Le fotografie sono frammenti di realtà, tempo e luogo”, spiega. “In molti modi, queste opere sono frammenti di frammenti di frammenti”, afferma Tahayori.
Le opere di Ali Tahayori, vendute a prezzi che vanno dai 3.000 ai 5/8.000 euro (quelle presenti al MIA di Milano), offrono una finestra sulla sua anima, un invito a esplorare le complessità della vita attraverso il suo sguardo. Ogni pezzo è una testimonianza della sua capacità di trasformare il dolore e l’emarginazione in bellezza e introspezione. Forse il suo è un richiamo a riflettere sulle nostre stesse identità e sulle storie che portiamo con noi.