The day after Paris: quello per riprendersi dallo shock dell’attentato terroristico – o atto di guerra secondo alcuni opinionisti – perpetrato ai danni di giornalisti satirici francesi e della loro e nostra libertà di espressione. Tutti i quotidiani, nella loro versione cartacea e online, aprono con questa notizia. Ma il coro dei commenti è unanime? Per tutti è il momento solo di condannare l’atto che ha portato alla barbara uccisione di 12 cittadini francesi o c’è da dire altro?
La prima questione che ha diviso gli opinionisti ha riguardato la presunta ‘responsabilità’ dei cartonisti nel suscitare, con le loro immagini irriverenti, la reazione degli attentatori.
Per Tony Barber, editor del Financial Times Europe, i vignettisti del settimanale Charlie Hebdo hanno manifestato poco buon senso con le loro vignette: “This is not in the slightest to condone the murderers, who must be caught and punished, or to suggest that freedom of expression should not extend to satirical portrayals of religion. It is merely to say that some common sense would be useful at publications such as Charlie Hebdo, and Denmark’s Jyllands-Posten, which purport to strike a blow for freedom when they provoke Muslims”.
A questa dichiarazione, e a tutti coloro che sostengono che i vignettisti avrebbero attirato l’ira degli islamisti, come se la morte fosse il loro prezzo da pagare, sembra voler rispondere l’editorial board del New York Times: “It is absurd to suggest that the way to avoid terrorist attacks is to let the terrorists dictate standards in a democracy”.
A cui si aggiunge la colonna dell’International NYT in cui Ross Douthat si pronuncia a favore del libertà di pronunciare una blasfemia se riteniamo di voler vivere in una società liberale: “1) The right to blaspheme (and otherwise give offense) is essential to the liberal order. 2) There is no duty to blaspheme, a society’s liberty is not proportional to the quantity of blasphemy it produces, and under many circumstances the choice to give offense (religious and otherwise) can be reasonably criticized as pointlessly antagonizing, needlessly cruel, or simply stupid.3) The legitimacy and wisdom of such criticism is generally inversely proportional to the level of mortal danger that the blasphemer brings upon himself”.
Mentre per Suzanne Moore de The Guardian è tempo ora di ridicolizzare i killer: “The Charlie Hebdo killers must not silence us. We should ridicule them. The gunmen behind the Paris murders want to shut down our freedom of expression. Our response should be to openly disrespect them”.
La seconda questione riguarda invece la risposta del mondo islamico a quanto accaduto il 7 gennaio alla sede parigina di Charlie Hebdo. In Occidente c’è chi pretende le scuse da parte del mondo islamico, chi invece una prese di distanza dagli atti compiuti dai massacratori.
Come riporta l’Huffingtonpost, i musulmani nel mondo hanno condannato l’attacco: “Muslim leaders and activists immediately denounced the terrorists actions, reiterating the verse in the Quran that tells Muslims when one kills just one innocent person, it is as if he has killed all of humanity. The Grand Mosque of Paris, one of the largest in France, issued a statement on its website shortly after the attacks, saying its community was “shocked” and “horrified” by the violence”.
Mentre Le Figaro raccoglie in una pagina le reazioni anche sui media arabi che, forse temendo un aumento dell’islamofobia, hanno condannato l’attacco: “La Ligue arabe et nombre de ses pays membres ainsi qu’Al-Azhar, principale autorité de l’islam sunnite, ont condamné avec force l’attentat. Al-Azhar a déploré une attaque «criminelle», soulignant que «l’islam dénonce toute violence», tandis que la Ligue arabe, également basée au Caire, a condamné «avec force cette attaque terroriste». «Tirer sur Charlie Hebdo c’est tirer sur la mosquée», dénonce Carlos Latuff qui participe au Middle East Monitor”.
Terza questione è quella terminologica di cui si occupa il giornale tedesco Die Zeit: “Die Differenzierung zwischen Islam und Islamismus war nie falsch. Aber sie war unvollständig”. Rappresenta un fallimento dell’Occidente alla prevenzione al terrorismo aver sottratto al dibattito la domanda se equiparare l’Islam all’Islamismo. La Jihad non ha solo conquistato Paesi come la Siria, ma anche spazi di cultura europea.
Ma come hanno reagito i lettori? Guardiamo a quelli italiani tramite i social network: Matteo Mainardi scrive dalla sua pagina facebook: “Vorrei solo ricordarvi che quattro anni fa Breivik uccise 77 persone in nome di Dio. Per tutti lui era un pazzo (non un cristiano) mentre per i fratelli Kouachi in Francia si parla di musulmani (non di pazzi). Ecco, questa è intolleranza religiosa.” Dall’altra parte leggiamo Angelo D’Ammando: “il motivo per cui io attendo una presa di distanza (ripeto, non delle scuse) è che questi sono crimini perpetrati nel nome di un credo religioso, gridando il nome di un dio, e quindi mi aspetto che chi ha quella fede quanto meno si dissoci apertamente. Al contrario dico che io invece sento di chiedere scusa per i crimini commessi in guerre sostenute anche dal mio Stato, anche se non nel nome di un mio credo religioso o di qualsivoglia mio altro valore: sento comunque di scusarmi e di impegnarmi nel mio piccolo quotidiano per evitare che possano ripetersi cose simili”.