“Alì dagli occhi Azzurri, uno dei tanti figli di figli, scenderà da Algeri, su navi a vela e a remi. Saranno con lui migliaia di uomini coi corpicini e gli occhi di poveri cani…Sbarcheranno a Crotone o a Palmi, a milioni, vestiti di stracci asiatici, e di camicie americane…”
Questi sono solo alcuni versi tratti dalla poesia Profezia, scritta da Pier Paolo Pasolini nel 1964, che ha ispirato il documentario omonimo di Enrico Menduni, presentato nella sezione “Venezia Classici” della 70esima Mostra Internazionale d’Arte cinematografica di Venezia.
In 70 minuti l’autore condensa, con estrema sensibilità e capacità di sintesi, un ritratto accurato del poeta, il suo rapporto con l’Africa e le immagini degli ultimi sbarchi di extracomunitari in Sicilia.
LA MIA VERITA’ – Al termine del film ci chiediamo: quella forza rivoluzionaria che invano Pasolini aveva cercato nel suo Friuli, poi nel sottoproletariato romano – e che credeva di scorgere in Africa -, oggi, a fronte dei fallimenti delle insurrezioni africane, dove possiamo trovarla? Esiste ancora?
L’Africa, per Pasolini, non è solo un continente, è soprattutto un concetto. Il concetto di resistenza al boom economico del mondo occidentale che ha spazzato via il sottoproletario preindustriale ed arcaico, privandolo della sua carica rivoluzionaria. L’Africa è il sentimento d’amore per gli sconfitti e gli emarginati. E’ la terra barbara della speranza, delle lotte di liberazione dal colonialismo e dalla volontà massificante del capitalismo. L’Africa comincia in tutte le periferie. E’ l’ultima utopia: quella dell’autenticità e della verità nei rapporti umani che il poeta ha inutilmente cercato tra i contadini friulani e i borgatari romani.
Nel documentario seguiamo questa particolare “storia d‘amore” tra il poeta e l’Africa sin dagli inizi, quando Pasolini giunge in Kenya nel 1961 ed è subito colpo di fulmine. Il colpo di fulmine di chi ritrova in una carne giovane le fattezze del suo primo amore. Seguono testi, prose, poesie, articoli, appunti di viaggio, qualche sceneggiatura (Il padre selvaggio) e due film (Un’orestiade africana e parte delle Mille e una notte).
Ma questo amore è destinato a finire scontrandosi presto con l’illogicità nei massacri di ieri e di oggi e l’inadeguatezza reazionaria e crudele delle potenze occidentali.
Pasolini è un naïf, secondo Bernardo Bertolucci, suo assistente all’epoca della prima regia del letterato. Un falso naïf. Cioè un barbaro visionario con l’intuito per la bellezza. Un intellettuale non rieducabile e dunque da eliminare.