ISTANBUL – Il meraviglioso labirinto si estende su 30 ettari, ha 21 porte, 64 strade, un numero indefinito di vicoli, porticati, antri, cortili, case, ristoranti, caffè, uffici-cambio, 16 caravanserragli degli antichi mercanti di Anatolia, 4mila negozi e botteghe sovente su due livelli, 100 tonnellate di oro commerciate ogni anno, 2 moschee, 4 fontane, 2 hammam, un ufficio postale, un’infermeria, un buon numero di bagni pubblici (molto puliti). Completato con il Sultano Maometto ll intorno al 1461, costruzioni in legno via via sostituito dalla pietra causa i frequenti incendi, interamente coperto, ristrutturato a fine ‘800 dopo un terremoto, il meraviglioso labirinto fu centro massimo per scambi commerciali fra i tre continenti sui quali si estendeva l’Impero Ottomano, luogo prediletto per passeggiate della famiglia reale, fonte di ispirazione per autori quali Edmondo De Amicis e Théophile Gautier. Oggi, i visitatori quotidiani sono fra i 200 e i 400mila.
Ceramiche, bigiotteria, tappeti, spezie, antiquariato, dolciumi, artigianato, oreficeria, pellami, maioliche, strumenti musicali, abbigliamento, profumi, tessuti, lampade, musica. Lingue, genti, odori, sapori, suoni, flash e voci, occhi spalancati per la sorpresa e occhi cerchiati per la stanchezza: il mondo si srotola nel meraviglioso labirinto, i negozi sono tutti luminosi e ci sono anche tanti gatti – i tranquilli socievoli amati gatti di Istanbul.
Al Gran Bazar, Levent Kalkan sta da 25 anni. Magro, reattivo, molto divertente e molto divertito, poliglotta, gli occhi intelligenti capiscono rapidi mentre stai ancora parlando. Famiglia turco/macedone emigrata a fine ‘800 a Istanbul, in questo quartiere. Al suo negozio si accede da un cortile: scala esterna, un paio di sedie, bicchierini per il tè su uno sgabello, folate di lingue diverse entrano dalla finestra. Ammonticchiati alti come pareti, i tappeti scontornano uno spazio nel quale lui si muove, racconta, ricorda, spiega, fa affari, riceve amici, annoda fili, recita (benissimo) se stesso.
Cos’è, il Gran Bazar?
“A Istanbul e nel Gran Bazar da secoli affluiscono, provenienti dal Medio Oriente e non soltanto, i capitali che per ragioni diverse emigrano, e oro, preziosi, tappeti, opere d’arte, investimenti. In tempi recenti è successo nel 1979 con la Persia dove era caduto lo Scià, nell’ 82 dopo l’invasione israeliana del Libano, nel 2003 con la fine di Saddam in Iraq, dal 2013 a oggi per la guerra in Siria.
Qui si imparano e parlano tante lingue – magari in un solo giorno persiano, malese, curdo, armeno, georgiano, inglese. In ambienti così puoi essere te stesso e trattare con persone che sono se stesse: cioè individui, non imitazioni o esseri umani fatti in serie. Quotidianamente incontri persone di ogni etnia cittadinanza nazionalità e cultura: questo ti fa capire nel concreto che la mescolanza fertilizza le civiltà, che nessuno è straniero. Tutti siamo diversi e tutti abbiamo tanti punti in comune. Il futuro è questo; Istanbul e il Gran Bazar lo preannunciano”.
Magari, Per quanto mi riguarda farò tutto il mio possibile, anzi di più, affinché questa previsione si avveri.
Dove hai imparato l’italiano?
“Nel 1980 decisi di continuare i miei studi di ingegneria elettronica in Italia, al Politecnico di Milano. Per imparare la lingua tutti andavano a Perugia, io scelsi Venezia, la Ca’ Foscari: faccio sempre di testa mia, e poi in quanto turco la mia porta d’Italia non poteva che essere Venezia. Per mantenermi cominciai a vendere vino durante il Carnevale, con il ricavato comperavo altre cose che in seguito rivendevo. Quando raggiunsi Milano per studiare, continuai i commerci, ma dopo quasi sette anni sono tornato. Avendo molto pochi soldi, l’unico posto dove potevo stare era il Gran Bazar. Ho studiato i tappeti, ne ho venduti e con il ricavato ho messo su un negozio di argento; ho imparato l’argento, nel ho venduto e con il ricavato sono entrato in società con un negozio di antiquariato, rame, pietra, monete; a un certo punto però ho chiuso per dedicarmi al commercio internazionale dei tappeti all’ingrosso”.
Un consiglio a chi è ragazzo/a oggi?
“Di avviare collezioni: francobolli o cuscini o tappeti o altro non importa. Essenziale è dedicarsi a qualcosa su cui sentano di avere da dire, e così conoscere tante genti diverse, imparare. Oggi, i giovani partono avvantaggiati per l’esistenza di Internet: puoi respirare nel quotidiano la dimensione internazionale, la pratichi da subito, e questo migliora la vita”.
I settori da privilegiare?
“Per un altro po’ di tempo i dati, i programmi, l’elettronica, anche gli oggetti di largo consumo; ma secondo me il futuro si chiama antiquariato, arte, tappeti”
Perché tappeti?
“Perché volano”
Che vuol dire?
“Che sono simbolo dei commerci, e il commercio ti rende libero, puoi volare”