Gigi Gherzi e il suo “Teatro degli Incontri”

Il Festival del Teatro degli Incontri sta animando in questi giorni via Padova, la strada più multietnica di Milano, conosciuta anche per tristi fatti di cronaca. Un programma ricco di spettacoli, che hanno tra i protagonisti giovani stranieri di seconda generazione. Fino al 17 giugno la zona 2 del capoluogo lombardo ospiterà seminari, tenuti da esperti di migrazioni, e iniziative culturali nate dal rapporto con le comunità presenti nel territorio. Abbiamo incontrato in questa occasione Gigi Gherzi, direttore artistico del festival, al quale abbiamo chiesto il retroscena del suo progetto di cultura e teatro meticcio.

Come è nata l’idea di promuovere questa manifestazione?
L’idea del festival è quella di raccogliere e mettere insieme il lavoro fatto durante tutto un anno dal Teatro degli Incontri con diversi  gruppi sociali. Ad esempio con i migranti dell’associazione Avanti insieme di Villa Pallavicini, sede anche di una grande scuola di italiano per immigrati. Ma anche con italiani della zona e con un gruppo di ragazzi di seconda generazione all’interno di una struttura che si chiama Tempo per l’infanzia. O come il lavoro svolto insieme a GRT e Parada Italia con un gruppo di senza dimora che gravita intorno alla Stazione centrale. L’idea del festival è quella di creare un momento di socialità e di conoscenza, attraverso il confronto. Quest’anno abbiamo avuto un seminario curato da Gabriele del Grande, giornalista e autore di libri che riguardano il tema della migrazione. C’è stato anche un interessante incontro curato da Raffaele Mantegazza, docente di Pedagogia all’Università di Milano-Bicocca, che ha parlato di un nuovo modello educativo: la presenza di bambini e di ragazzi stranieri nella scuola porterà ad un’integrazione fatta anche di fusione di modalità, di forme e di moduli di apprendimento.

A proposito di ragazzi, quelli di seconda generazione hanno proposto un bellissimo evento teatrale. Ce lo vuole raccontare?
I giovani di seconda generazione hanno lavorato tutto l’anno sul tema di Icaro, che cerca di costruirsi le ali. E loro, come giovani, cercano di volare, affrontando il pericolo di cadere e di farsi male. Hanno incrociato le loro storie, le loro esperienze di vita personali, il loro rapporto con la città, con gli amici, con i genitori.

Pensate di esportare questo progetto in altre zone della città?
L’idea, come dicevo, è il frutto del lavoro di associazioni che operano sul territorio e naturalmente in via Padova si trova terreno fertile.  Questo non toglie che sia un modello assolutamente replicabile in altre zone della città. Stiamo lavorando perché il prossimo anno si possa partire anche con altri quartieri.

Integrazione a Milano oggi.
E’ difficile? E’ possibile? Come sta rispondendo la città e chi la guida?

Io tendo a non generalizzare. Mi piace parlare delle singole esperienze e credo che ognuna di esse sia valida e meriti di essere esempio per gli altri. Sicuramente è difficile e complessa, ma mi sembra anche che sia stato superato quel primo momento in cui si vedeva come unico fine l’integrazione. Anche perché è un concetto molto ambiguo. Molte culture non accettano l’omologazione. E quindi è su questo che noi lavoriamo: sulla differenze che vanno mantenute e stimate. E’ quello che noi chiamiamo “cultura meticcia”. Rispetto all’amministrazione comunale, sicuramente c’è un’attenzione culturale più alta, almeno non ci sono componenti  xenofobe al suo interno.  S poi questo si sia già trasformato in nuove forme di politica, ancora concretamente non si vede.

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