Il cuore dell’esposizione è la grande sala detta “The black arch”, dall’installazione omonima di Raja e Shadia Alem: un tappeto di sfere rilucenti – a riprodurre geometricamente il turbinare in circolo dei fedeli alla Mecca – che abbracciano una Ka’ba stilizzata, la quale si sostiene su un solo angolo, già sospesa verso l’alto, protesa verso Allah, “il più grande, il più misericordioso”.
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Qui, in questa stanza dell’Institute du monde arabe di Parigi, dove la forza del simbolo, nel rispetto dei dettami dell’Islam, abbraccia i materiali del design contemporaneo, in modo naturale, senza forzature, ma esaltando il valore di un’esperienza che un non musulmano mai potrà provare nella vita, qui si riassume il valore della mostra “Hajj. Le pèlerinage à La Mecque”, chiusa il 17 agosto scorso e frequentata da un pubblico vastissimo e misto, in termini di nazionalità, religioni, culture.
La mostra, nata dalla collaborazione tra Institute du monde arabe, Biblioteque publique du Roi Abdulaziz in Arabia Saudita e musei di Londra (British and Victoria and Albert Museum) per i non musulmani, è un originale percorso di conoscenza del quinto pilastro dell’Islam, l’Hajj, attraverso cartine, antichissime illustrazioni, suoni, filmati, testimonianze contemporanee, che accompagnano le varie fasi del pellegrinaggio, esattamente nella sua scansione di cinque giorni, dall’Ihram (la vestizione) alla Tawaf al-Wida (la preghiera prima di lasciare la Regione).
E’ un’occasione unica anche per i musulmani, per potere visionare oggetti di rarissima e preziosissima fattura, riuniti per questa occasione eccezionale, e attraverso di essi, ripercorrere la storia dell’Hajj, dall’impero ottomano ai nostri giorni, già seguendo semplicemente la fattura delle coperte della Ka’ba, le Sitarah, vere e proprie preziosità sia nella lavorazione sia nei materiali provenienti dall’Egitto ottomano fino al Novecento saudita, e davvero impossibili da vedere raccolte tutte insieme in un museo occidentale come, invece, qui accade.
La parola “Hajj” significa “volontà del viaggio” e in essa viene sottolineato, oltre l’atto del viaggio, la volontà preliminare di intraprenderlo. Si spiega così anche la struttura del percorso visuale, che alterna racconto interiore (dagli strumenti teologici che il fedele ha a disposizione per prepararsi a uno degli eventi più importanti della sua vita, fino all’immersione sensoriale, tramite video e audio, nelle giornate di preghiera) a racconto esteriore (la mostra ha una sezione straordinaria relativa alle rotte dell’Islam nei secoli, dalla rotta africana che partiva da Timbuctu, fino a quella dell’Oceano indiano che partiva da Jakarta).
Tutte queste strade, che portavano e portano a la Mecca e Medina, come sottolineano i curatori dell’esposizione, Ayrelié Clemente Ruiz, e Jalal al Alami el Idrissi, sono punteggiate da opere d’arte: Corani finemente istoriati, pietre miliari per le rotte sul deserto, ceramiche con iscrizioni che testimoniano già l’importanza centrale de la Mecca dopo la morte del Profeta, cartine geografiche, dal XV secolo all’epoca coloniale. Ma, al di là dei segni dell’arte, davvero straordinaria, è una serie di documenti governativi, provenienti soprattutto da Egitto, Siria, Marocco, sia quelli con cui si accorda il permesso ai cittadini comuni di assentarsi dalle mansioni quotidiane per recarsi nelle città sacre, sia i certificati che essi stessi mostrano al ritorno.
Proprio l’umanità che si raccoglie intorno a tanta spirituale forza rappresentata ed emanante da un luogo, diventa il collante tra tradizione e innovazione nell’Hajj, un punto di approfondimento che i curatori della mostra hanno tenuto a sottolineare, esponendo opere di artisti contemporanei ispirati dal pellegrinaggio, installazioni, fotografie d’arte, piante e foto panoramiche della Mecca allora e oggi, una città che unisce altissima tecnologia a profonda compenetrazione nel passato, a servizio di una comunità islamica sempre più ampia nel mondo e che ha bisogno di un alto livello di accoglienza e servizi, durante questo viaggio dell’anima verso il suo Dio.
La disposizione interiore e lo sforzo fisico del pellegrino aleggiano in tutto il percorso espositivo e, infatti, si concretano nelle dieci audiostorie singole di fedeli contemporanei che ciascun visitatore può ascoltare con calma e in silenzio alla fine del percorso, accompagnate da foto e, soprattutto, dagli oggetti del pellegrinaggio. Un’ultima azione che vale come testimonianza per i non credenti nell’Islam e come sprone a intraprendere il viaggio per tutti i musulmani che non abbiano ancora attemperato al quinto pilastro della fede della parola data da Allah a Muhammad.